La triste storia delle fake news e dei media snaturati

Per parlare di fake news ho preso un delizioso articolo dell’Ansa di qualche giorno fa che ha questo incipit: “Riportare al centro la notizia, quella vera, verificata, attendibile, proveniente da una fonte di cui possiamo fidarci: nell’era della sfiducia, difendersi dalle fake news diventa un imperativo fondamentale anche per il giornalismo”.

Una manciata di buoni propositi e di parole-chiave sul tema dibattuto delle false notizie (in tempo di pace) che animano l’intrattenimento politico, sociale e mediatico del paese. Culinariamente, l’autrice affida la soluzione alle ricette dei direttori di alcune fra le principali testate italiane. L’effetto è straordinario. Viene da chiedersi: possibile che queste siano le cure contro le bufale ipotizzate dalle menti più fervide del giornalismo italiano? O tutto sembra così banale per l’eccesso di sintesi che si coglie nel pastone dell’Ansa? In tutti e due i casi – considerando anche che la sintesi potrebbe essere eccessiva a fronte di proposte poco significative – il giornalismo come arma contro le notizie farlocche, esagerate o deliranti, ne esce zoppicante, a parere mio. Per questo – dopo aver citato la fonte in attacco del pezzo (cliccate sul link e verificate) – passiamo in rassegna il succo delle dichiarazioni.

Luigi Contu, Ansa: “…ha richiamato l’attenzione su ‘passione, responsabilità, etica’ quali armi potenti contro le bufale”. Venanzio Postiglione, vicedirettore del Corriere della Sera: “Si deve tornare alla centralità della notizia “. Roberto Cotroneo, direttore della Scuola di Giornalismo della Luiss: “Il giornalista deve innanzitutto saper leggere il mondo”. Anna Masera, che dirige il Master di Giornalismo di Torino, ha sostenuto che “il semplice storytelling, senza il supporto di dati reali quale elemento di verità, rischia di generare ancora più diffidenza”. Per il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Verna, “si dovrà regolamentare il far web”. “Noi del Novecento – queste le parole a Torino di Enrico Mentana – combattiamo le fake news usando fiuto, esperienza e cultura”. “Le fake news – ha avvisato infatti il direttore della Stampa, Maurizio Molinari – sono la moderna versione di uno strumento usato dal Kgb per fare disinformazione e hanno lo stesso intento: indebolire le democrazie”.
Spettacolo. Viva i maestri del giornalismo, i docenti e i direttori. Passione, responsabilità, etica? Giusto, ma che cosa vuol dire concretamente? Guardo le arene ululanti in tv, per esempio, e mi rendo conto che una certa informazione, spesso xenofoba e razzista, declinata anche con intrattenimento ridanciano e con scoop strampalati, viene propinata al pubblico con una certa passione. Ma anche con obbediente responsabilità dei “soliti noti”, evidentemente responsabili nei confronti del datore di lavoro e dei suoi interessi, immagino. In modo che l’etica possa essere elasticamente piegata su una posizione di vantaggio per lo stesso soggetto di cui sopra (non certo per la democrazia dell’informazione).

Non si tratta di fake news, però. Questo è vero. Sto parlando di giornalismo ufficiale, di quello che va per la maggiore in tv, dei commentatori che non sanno niente di quello che commentano, che piegano il parere alla congiuntura del momento e al gettone di presenza. Degli show giornalistici degli ululatori e aizzatori xenofobi. O anche di quello spazio grigio dell’intrattenimento sciocco e paragiornalistico che consente a Fabio Fazio di fare le sue interviste senza domande o alle Iene di agire sulle emozioni prive di basi scientifiche sui casi Stamina o sugli esperimenti sotto il Gran Sasso. (Leggete sdoganano un razzismo urlato che sa di fascismo, e facendosi beffe di ogni decenza, calpestano la deontologia soffiando pericolosamente sul fuoco della crudeltà sociale.

Così, mi cadono le braccia di fronte al giornalista che deve saper “leggere il mondo”. Perché penso che basterebbe, per esempio, leggere le carte deontologiche della professione. Attenersi a quelle. Farle rispettare, per esempio. E portare rispetto per la Costituzione, che non prevede lo sdoganamento del pensiero fascista: “..a far loro pubblicità, ad amplificarne i messaggi a dismisura, a renderli glamorous è stata la televisione, sono stati i talk show. Quelli di tutte le reti, ma soprattutto quelli de La7, che negli ultimi anni è diventata un bivacco di manipoli. Bivacco diurno e serale, ospitale e confortevole. A stendere il tappeto sono stati i conduttori criptofascisti, ma anche quelli «democratici», che hanno accolto nei loro salotti duci e ducetti dell’ultradestra, capicenturia del razzismo «civico» organizzato, führer del fascioleghismo, dialogando con loro […] Ospitare fascisti diviene consueto, la loro presenza si adagia nella sfera dell’ordinario e così anche i loro discorsi sono potenzialmente accettabili. Ovvero: criticabili, ma legittimi” (Wu Ming 1)

L’accesso alla conoscenza è una cosa seria, è una delle basi filosofiche della democrazia. Non si può pensare di rinunciare, di far finta che il problema sia altro. Che Mirandolina74 sia la causa di tutti i mali e che il pugno di ferro delle istituzioni valga per lei o per i più poveri, per i senza diritti della società. Non si può accettare che a scrivere regole nuove, securitarie e repressive, siano gli artefici di questa distorsione del tempo, cioè i potenti. Che poi sono i politici, quelli che hanno interessi economici forti, quelli che per loro natura quindi devono intortare i cittadini, far credere che una speculazione edilizia sia progresso, che l’ingiustizia che innerva la società sia regola, che la discussione debba animarsi follemente su questioni insignificanti, mentre saccheggiano il nostro bene comune.

Antonio Montanaro, giornalista del Corriere Fiorentino, scrivendo sul fatto che oggi contano più le emozioni che i fatti oggettivi, più le suggestioni che i pensieri, più la propaganda che l’informazione, afferma: “Una questione che è come sale sulle ferite per il mondo del giornalismo e, soprattutto, per quello della politica. Può diventare controllore chi ha interesse a far circolare notizie false? Può avere un ruolo chi ha abbandonato, come ha sottolineato il linguista Giuseppe Antonelli, il ‘paradigma della superiorità’ per abbracciare quello del ‘rispecchiamento’ con l’elettorato, abbassando così contenuti e linguaggi del discorso pubblico?

Parole chiare. Tornando all’incipit da cui sono partito, rilevo degli elementi interessanti che dovrebbero aprire una discussione. L’articolista parla della notizia: quella vera, verificata, attendibile, proveniente da una fonte di cui possiamo fidarci. Ottimo. Allora aggiungo: perché sia vera e verificata, occorre che sia verificabile. Solo rendendo una notizia verificabile diventa una notizia attendibile. Che cosa vuol dire verificabile? Vuol dire che la fonte deve essere sempre nota al lettore. Il cittadino dovrebbe sapere dove il giornalista ha preso le sue informazioni. Quindi: se la fonte è l’ufficio di Pr della Confindustria, va scritto. Se è il tassista che scarrozza l’inviato, idem. Se è il sindacato, la moglie separata di un dirigente, il magistrato o il carabiniere. In chiaro, non aum aum. Perché io lettore vorrei poter conoscere e capire il punto di vista di partenza.

So che questo contrasta con la visione delle fonti anonime che tanto di moda va, ma che tanti problemi hanno causato alla nostra democrazia. Da sempre gli incappucciati guidano verso un mondo oscuro d’interessi segreti. Carriere prodigiose, in tempi democratici, sono nate all’ombra del cappuccio. Ecco, la risposta del giornalismo moderno dovrebbe essere nella chiarezza, non nell’oscurità dei fini. Ma figuriamoci: con le bufale di livello mondiale hanno fatto le guerre, hanno bombardato in testa i civili inermi, hanno cambiato la storia del mondo in cui viviamo. A raccontare minchiate cosmiche, a negare i principi della nostra costituzione, non è stata Mirandolina74 con la sua ovatta in testa, ma il potere vero, politico e finanziario, che si basa sulla propaganda e sulla diffusione di massa delle notizie allarmistiche o emotive. E sul tenere nascoste quelle scomode o vergognose.

Per questo, per tutto questo, l’allarme fake news non scalda il mio cuore. Non mi mettono paura i mirandolini che urlano maiuscoli sgrammaticati e punti esclamativi a raffica, ma il rigurgito fascista, il razzismo crescente in doppiopetto elegante, la xenofobia ignorante che sta mutando i codici del nostro vivere democratico. Il giornalismo possiede ancora le armi per invertire la rotta? Difendendosi dalle bufale o dalle notizie che servono interessi lontani da quelli della democrazia dell’informazione? Spero fortemente di sì, ma temo che sia una speranza vana.

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