
Generale pluridecorato, 18 medaglie al valore, e per soli 24 giorni, consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump. Tre settimane sugli altari per un successivo inferno di sospetti e accuse che lo accompagneranno sin che campa. E alla fine il generale si arrende e confessa: si dichiara colpevole di aver mentito all’Fbi sui suoi contatti con la Russia, di non aver detto la verità sul suo incontro con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergey Kislyak.
Secondo Abc News l’ex consigliere ha promesso di collaborare e sarebbe pronto a testimoniare contro il presidente. Il procuratore Robert Mueller ha detto che a chiedere a Flynn di incontrare i russi è stato un “funzionario importante” della squadra di Trump. Diversi mezzi di informazione, tra cui Washington Post, Cnn e Nbc, basandosi sulle carte hanno fatto il nome di Jared Kushner, il genero e consigliere del capo dell’amministrazione Usa.
L’accusa è di aver mentito all’Fbi nel corso di una deposizione sotto giuramento, sul contenuto di un incontro che Flynn ebbe con l’ambasciatore russo. Il generale e l’ambasciatore Kislyak si erano visti il 29 dicembre e Flynn aveva nascosto questo incontro sia all’Fbi che al vicepresidente Usa, Mike Pence. Dopo la pubblicazione di questa notizia il presidente Donald Trump lo aveva costretto a dimettersi.
Importante quasi quanto l’incriminazione, il fatto che il generale abbia accettato di riconoscere la propria colpevolezza. Non a caso -annotano i reporter dagli Stati Uniti- già qualche giorno fa si era saputo che la squadra legale dei difensori di Flynn aveva cessato ogni comunicazione con la Casa Bianca: questa è una pre-condizione per collaborare con l’accusa. Insomma, Flynn pentito, teste di accusa contro altri colpevoli. Ora il timore, fra i più stretti collaboratori del presidente, è che il cerchio che si stia stringendo intorno a Trump e alla sua famiglia.
Trump isolato in una ”bolla” mentre dovrebbe essere in stato di allerta dopo la dichiarazione di colpevolezza di Flynn, ma soprattutto della sua volontà di collaborare con le indagini sul Russiagate. Lo riporta la Cnn citando alcune fonti della Casa Bianca, che hanno descritto lo stato di negazione in cui Trump versa nei confronti delle indagini. Un’eventuale grazia per Flynn ”non e’ in considerazione. Assolutamente no”, afferma un funzionario della Casa Bianca. Vedremo.
L’ex generale -racconta Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera- si è avvicinato solo nel 2016 al tycoon newyorkese, “ma con fervore travolgente”. 59 anni, di cui 33 spesi nell’esercito, ma di fatto a fare le spia. Una vocazione. Specializzazione intelligence, con esperienze in Afghanistan e, dal 2004 in Iraq. Strano, ma la sua ascesa verticale comincia con Barack Obama. Tornato a Washington scala le posizioni dei servizi segreti militari, fino a diventare direttore della Defense Intelligence Agency nel 2012. Salvo poi litigare con le altre strutture di intelligence e con la Casa Bianca. Nel 2014 lo stesso Obama lo destituisce. Personaggio non facile e controverso.
Lascia l’esercito e crea la Flynn Intelligence Group, la solita società di consulenza a monetizzare i contatti privilegiati che aveva. Intreccia relazioni con la Russia, ad esempio, e compare diverse volte, in veste di esperto, nei programmi della tv di Stato RT. Nel 2015 partecipa a una serata di gala seduto allo stesso tavolo di Vladimir Putin. Ottimi i rapporti, anche con uomini d’affari turchi vicini al governo di Erdogan. Nel 2016 si lancia a sorpresa, in una furibonda campagna anti Islam, e si fa notare da Trump che lo invita alla Convention repubblicana di Cleveland. Sul palco guida il coro contro Hillary Clinton: «Lock her up», ‘chiudila a chiave, mettila dentro’.
Un profilo perfetto, nel mondo di Trump. Sembrava.