
Militarmente, la vittoria di Bashar Assad e dei suoi alleati russi e iraniani è netta e incontestabile. Più incerta la partita diplomatica aperta. Russia e Iran, insieme alla Turchia, stanno ora gestendo anche il processo negoziale per la pacificazione del Paese, fronte diplomatico, mentre per il resto del mondo di apre il problema dei ‘reduci’, delle migliaia di foreign figters che ancora combattono. Jihadisti ormai circondati in poche zone semi desertiche, senza rifornimenti. Per loro, sola salvezza, le sempre più difficili vie di fuga. Fuori dall’accerchiamento verso quali ipotetici rifugi?
«Nessuno sa quanti siano i combattenti stranieri – ha detto recentemente il ministro Minniti- ma si può pensare, facendo una media delle informazioni avute, che siano tra venticinque e trentamila provenienti da cento paesi del mondo». Circa un terzo del totale degli 80 mila effettivi che secondo le stime del Pentagono componevano l’esercito del Califfo. Valutando che circa la metà dei miliziani jihadisti sono stati uccisi, feriti o catturati, i foreign fighters già fuggiti o in cerca di una via di fuga dai territori siriani e iracheni potrebbero essere almeno 10/15 mila.
L’Unione europea valuta che circa la metà dei 5.600 foreign fighters partiti dal Vecchio Continente siano tornati e anche se solo poche decine sono strati incarcerati è ragionevole pensare che vengano tenuti sotto stretto controllo dai servizi di sicurezza. Proprio questo approccio morbido della Ue -rileva Guanandrea Gaiani su Analisi Difesa– potrebbe attirare qui da noi anche una parte dei sopravvissuti tra i 10/12mila jihadisti partiti dal Nord Africa -mila solo i tunisini- per combattere sotto la bandiera nera del Califfato. Al momento per fortuna, nessun segnale del genere, ma allerta sempre massimo.
L’uccisione di molti leader siriani e iracheni dell’Islamic State ha lasciato spazio a una nuova generazione di comandanti, in parte originari dell’Asia Centrale ma soprattutto maghrebini, che stanno già riorganizzandosi con veterani del jihad fuggiti dal Medio Oriente la loro presenza nelle aree desertiche egiziane -il colpo terribile nel Sinai- libiche, quelle a sud di Sirte e lungo i confini egiziani e algerini dive possono sfruttare gli antichi traffici di armi, droga ed esseri umani per autofinanziarsi ed arruolare nuovi combattenti. Potenziali scontri tra bande, nella logica mafiosa del controllo del territorio.
Il Califfato nel Sinai egiziano, oltre 300 morti nell’assalto alla moschea sufi di Bir al-Abed, indica l’afflusso di veterani dall’Iraq e la Siria forse transitati dalla Giordania dove alcuni ambienti tribali sunniti non hanno mai nascosto simpatie per la causa del Califfato. La Penisola del Sinai del resto, con il suo territorio impervio e le tribù beduine già in passato colluse con gruppi islamisti, è il rifugio ideale per veterani del jihad che vogliano nascondersi o continuare su questo fronte la loro battaglia anche con il chiaro obiettivo di mostrare una vivacità militare e terroristica che bilanci le notizie relative alle sconfitte subite dal Califfato in Siria e Iraq.
I governi russo e delle repubbliche asiatiche ex sovietiche temono invece il rientro dei volontari caucasici, uzbeki, tagiki, kirghizi e kazaki unitisi all’Isis e alle milizie di al-Qaeda in Siria. Tra 5mila e 8mila combattenti che potrebbero alimentare nuovi jihad nei paesi di origine incluse le già turbolente repubbliche caucasiche russe di Cecenia e Daghestan. Il Tagikistan ha varato una legge per espellere gli imam indottrinati all’estero fautori dell’estremismo. Controlli alle frontiere, soprattutto con l’Afghanistan insieme a militari russi. I miliziani del Califfato in Afghanistan che potrebbero ricevere rinforzi dall’esodo dei miliziani da Iraq e Siria.
L’intelligence Usa ritiene che proprio a ridosso della frontiera afghano-pakistana l’IS abbia costituito un centro di addestramento per i foreign fighter. Come la rete di Osama bin Laden aveva pianificato qui gli attentati dell’11 settembre 2001, -ricorda Gainai- oggi nelle regioni orientali afghane sarebbero stati preparati piani per colpire Usa, Canada ed Europa. L’Afghanistan potrebbe quindi aver rimpiazzato come quartier generale dello Stato Islamico i territori del Medio Oriente che hanno visto la nascita e il tramonto dell’IS come entità in grado di controllare e amministrare un territorio grande quanto l’Italia.
In Medio Oriente le truppe di Damasco e Baghdad stanno completando la riconquista degli ultimi territori desertici delle province di al-Anbar e Deir Ezzor ancora presidiate dagli uomini del Califfato. Ma tutti gli analisti ritengono che l’IS continuerà a rappresentare una estesa minaccia terroristica in Siria e Iraq, grazie anche al forte sostegno di cui godrebbe ancora presso una parte delle comunità sunnite. I servizi segreti siriani ora dispongono di una banca dati formidabile sull’identità di migliaia di foreign fighters, informazioni in parte condivise anche con i colleghi di alcuni Paesi europei, inclusi quelli schierati in prima linea al fianco dei ribelli contro il regime di Bashar Assad.