Sinai, attacco troppo vicino a Gaza

Gli oltre 300 morti fatti nell’attacco jihadista alla moschea sufita di Bir Abedi, nel Sinai, dalla ‘northern branch’ (Ansar Beit al-Maqdis) del califfato, rispondono a un’architettura più orrendamente sofisticata di fare “guerra”, dato che il conflitto originario è andato trasformandosi in qualcosa di molto più complesso. Non è più soltanto la “jihad” contro tutti gli infedeli, a cominciare dai “crociati” occidentali, ma una lotta senza quartiere che si va ingigantendo soprattutto dentro l’Islam, dove ormai sono stati persi di vista amici e nemici, alleati, fiancheggiatori e potenziali avversari.

Ad al-Rawda , sulla carta, i terroristi hanno voluto “celebrare” con un massacro che peserà come un macigno sull’Egitto, l’anniversario dell’assassinio di un venerato sceicco sufi. Soliman el-Haratz era cieco, aveva 96 anni e fu scannato l’anno scorso, a sangue freddo, vicino El-Arish, dai miliziani del Califfo per “stregoneria”. In pratica, perché predicava e insegnava un Islam più clemente e misericordioso. Tutto il contrario di ciò che va cercando il Califfo. Al Cairo sono sotto shock. El-Sisi ha annunciato che la risposta “sarà terribile”, mentre fonti governative hanno fatto sapere di avere attaccato e ucciso una decina di terroristi.

La verità è che una mattanza di tale portata apre nuovi e inquietanti interrogativi. E moltiplica le perplessità dei potenziali turisti (il Cairo non è lontano), un cui eventuale dietrofront metterebbe spalle al muro la già malandata economia del Paese dei faraoni. Gli analisti, comunque, non sono stati colti di sorpresa. In una prima fase, dopo le “Primavere arabe “, si erano prefigurati uno scontro titanico (che cova sotto la cenere da ben più di un millennio) tra sciiti e sunniti. Poi il “crash” si è progressivamente allargato in tutte le direzioni, come il vetro di un parabrezza frantumato da una sassata.

Oggi gli odi religiosi si mischiano alle vecchie faide tribali e prendono di mira chiunque. Gli specialisti russi, americani e israeliani hanno già identificato da tempo il Sinai come la nuova frontiera “mordi e fuggi” del Califfato. Aspro, scosceso, quasi totalmente desertico, perennemente arso da un sole implacabile, questo territorio è di fatto impossibile da controllare. È inoltre abitato da centinaia di piccole tribù beduine, strutturalmente ostili a qualsiasi autorità centrale e molto facili da “comprare”, con quattro cammelli. I beduini odiano già di loro l’Egitto. Figuratevi quello di El-Sisi, che sembra una caricatura malriuscita di uno Stato latinoamericano, dove i generali hanno sempre l’ultima parola.

Ragion per cui, perse Raqqa e tutte le altre “gemme” del suo Califfato siro-irakeno, adesso Abu Bakr al-Baghdadi pensa di piantare le tende (è proprio il caso di dirlo) nelle biblica penisola che separa Asia e Africa, per turbare i sonni di tutti i vicini: egiziani, israeliani e giordani. E perché no? Anche dei palestinesi “occidentalizzati” di Abu Mazen, che potrebbero trovarsi alle soglie di casa un pericolosissimo concorrente, capace di rianimare tutte quelle fazioni che hanno sempre odiato l’Olp e la buonanima di Arafat. Screditandoli senza esitazioni, sia detto per inciso, quando si toccava il tasto (dolente) dei milioni di dollari di aiuti evaporati sotto il sole della Cisgiordania.

Dunque, l’Isis colpisce nel Sinai ma guarda altrove, a cominciare dalla Striscia di Gaza e da Hamas. Organizzazione temibile e un po’ confusionaria per la verità, che però non è stata mai imbevuta di fondamentalismo parossistico. Almeno ai livelli raggiunti dal Califfato. Ecco, potrebbe essere questo il vero obiettivo di ciò che rimane dello Stato Islamico ed è proprio ciò che fa bagnare di sudori freddi le schiene dei responsabili dell’Intelligence di Gerusalemme. Se al-Baghdadi riuscisse a costruire un background fondamentalista intorno alla questione palestinese il Medio Oriente potrebbe incendiarsi e saltare per aria come un deposito di fuochi d’artificio.

Per questo, a diversi studiosi di relazioni internazionali e strategia globale, sembra troppo sbilanciata la politica di Netanyahu contro l’Iran sciita ed Hezbollah in Libano. Insomma, anche la galassia sunnita potrebbero far saltare il banco. Molto prima di quanto si creda.

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