Coraggio bambini, imparate a fare le cose difficili

Polemos parla ancora di rivoluzione e di bambini. Della bellezza dei semi da coltivare, con la pazienza e la cura necessaria per guardare al futuro. Fuori dall’incubo del pessimismo che crea assuefazione e produce razzismo, xenofobia, obbedienza diffusa e ignoranza tra i cittadini.

Con me, in viaggio, porto un sacchetto di semi. Sono i progetti di questi anni, coltivando cultura, vangando il terreno arido della cura e dell’attenzione. Da viandante porto la voglia di riprendere il filo rosso dell’agire in un collettivo che faccia del rovesciamento delle regole di buon senso comune, e passivamente accettate, il principio attivo: emergenze, non quello che ci fa paura, ma ciò che emerge dal torpore senza permesso. Con cuore puro, con lo spirito critico e l’utopia, continuando a pensare che esistano diritti inviolabili di civiltà e giustizia che vadano oltre le leggi. E che si debbano progettare piramidi di meraviglia per il domani, per dare ai nostri figli un futuro reale, di libertà e diritti. Idee semplici che talvolta hanno ottenuto risultati sorprendenti. Curiosità e azione, prassi politica e culturale con coerenza e conoscenza, lontani dalle banalità formali da pipparelli metropolitani con il loro portato di trasgressioni conformiste. Contro il format.

Con me porto la bellezza dell’arte come grimaldello per spalancare una visione del mondo diversa. La grandezza poetica dei rapporti intergenerazionali. L’agire ad altezza uomo sui territori: per definire l’umanità necessaria e anche un modo di essere, con la schiena dritta, camminando domandando, ricordando che la testa pensa dove poggiano i piedi e non solo dove si muove il mouse.

Fertile è il terreno del confronto, lo spazio temporaneamente libero dell’azione creativa sovversiva.

Con me porto la parola “sovversiva”, perché vuol dire sovvertire, da sub-vertere, capovolgere un modo di vedere, di pensare, di obbedire che crea dolore, ingiustizia e ferocia sociale. Essere sovversivi – a qualunque età – è una cura di libertà. Le parole non devono essere recinti, devono poter esplodere con la loro potenza. Occorre imparare di nuovo, imparare a non arrendersi di fronte all’evidenza. A questa banale, rassicurante, respingente evidenza che giorno dopo giorno, narrazione tossica dopo narrazione tossica, ci fa affondare in una palude senza sogni, in un vuoto di memoria e di bellezza, in luoghi troppo scintillanti ed espliciti, disumanizzati, futili eppure brutali culturalmente e socialmente.

Con me porto le cose difficili. La tenacia delle cose difficili al punto da sembrare impossibili. Delle strade apparentemente senza sbocchi. Con me porto le parole di Gianni Rodari dedicate alle cose difficili e ai bambini che le fanno.

È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi”.

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