
Il Venezuela, in piena crisi istituzionale, da martedì è anche un paese in ‘default’. Sentenza di Standard&Poor, dopo che Caracas ha saltato il pagamento di una rata da 200 milioni di dollari di interessi sui suoi bond. Altre due agenzie di rating, Fitch e Moody’s, hanno dichiarato in default la compagnia petrolifera statale Pdvsa che non ha versato agli obbligazionisti le rate di ottobre e novembre. Maduro prova a definire “un successo clamoroso” la riunione con i detentori esteri di titoli del debito pubblico e del gruppo petrolifero. Ma è Russia salva tutto. Con qualche tornaconto.
La Russia aiuterà il Venezuela a ristrutturare parte del suo debito con 3,15 miliardi di dollari, che sono una enormità di soldi ma poca cosa rispetto al ‘buco’. Il Venezuela ha debiti verso l’estero per 140 miliardi di dollari. L’accordo di ieri prevede che il Venezuela effettui pagamenti ‘minimi’ sulle sue obbligazioni russe nel corso dei prossimi sei anni. L’aiuto di Mosca per salvare innanzitutto se stessa. Oltre alla Russia, il Venezuela può contare da tempo sugli aiuti della Cina, interessata al petrolio venezuelano e coinvolta sua volta con prestiti miliardari superiori a quelli russi.
60 miliardi di bond che non si sa se e come saranno pagati. Colpa dei mancati pagamenti viene attribuita alle restrizioni imposte dagli Usa, a cui ora si aggiungono quelle di Bruxelles. Caracas attribuisce la colpa dei mancati pagamenti alle sanzioni americane, tra cui il divieto di esportare petrolio negli Usa. A cui si sono aggiunte due giorni fa quelle europee, le prime imposte da Bruxelles a un Paese sudamericano. Il Consiglio Ue alla luce della “polarizzazione politica” nel paese ha deciso tra l’altro l’embargo alla vendita di armi e di altro materiale che potrebbe essere usato a fini di repressione interna.
Misure difficili. Scelta politica Ue contro il governo che colpisce subito la popolazione. Maduro ha risposto definendo le sanzioni “illegali ed assurde”. Poi sui fa prendere la mano ed «Esige che l’Ue che cessi le sue azioni ostili e prenda le distanze dell’agenda bellicista ed interventista del governo statunitense, che tanti danni ha provocato al nostro paese e al mondo intero». Nel frattempo il Paese precipita. Venezuela in iperinflazione il mese scorso e moneta in caduta libera: la banconota da 100mila bolivar, la più alta in circolazione, vale meno di due dollari sul mercato nero solo un mese dopo il suo lancio. Prezzi politici per tutti i beni di prima necessità, imposti da governo, e loro scomparsa dal marcato ufficiale.
La popolazione è allo stremo, con più dell’80% delle famiglie in ‘povertà estrema’, valuta l’Opec. Il baratro finanziario venezuelano alle origini della tragedia umanitaria abbattuta già da tempo su una nazione stremata dove, a detta di Caritas, vivono 300mila bambini che rischiano di morire di fame. In questa situazione interna è improbabile che il fallimento di Caracas (dipende dai miliardi di dollari che daranno la Russia, meglio disposta, e la Cina, invece restia a buttare via altre risorse nel calderone chavista), cambi di molto le condizioni di vita già drammatiche dei circa 30 milioni di venezuelani.
Nel suo ultimo rapporto mensile, l’Osce ci dice che la produzione di petrolio del paese – il 95% degli introiti di valuta estera – è scesa sotto i 2 milioni di barili al giorno dallo scorso ottobre, la cifra più bassa registrata da 28 anni. Anche le aziende italiane che operano nel Paese stanno risentendo della crisi in Venezuela. Astaldi ha svalutato per 230 milioni di euro la propria esposizione verso il Paese, chiudendo i 9 mesi con perdite per 88 milioni dall’utile per 55 milioni un anno fa e mandando in fumo le previsioni per fine anno, con un esercizio atteso in rosso.