
La paura dei libanesi segnati dalla storia, è quella di ritrovarsi campo di battaglia in un conflitto di potenze straniere che non vogliono affrontarsi direttamente.
L’Arabia Saudita, capofila del fronte sunnita, ha costretto l’ex premier Hariri, suo uomo, alle dimissioni “in contumacia”, cioè mentre si trovava a Riad. Da allora Hariri non è più tornato e, sia Nasrallah, il leader di Hezbollah, sia il presidente libanese cristiano-maronita Aoun premono sui Saud per il rientro in patria l’ex premier.
Riad, sulla spinta del giovane erede al trono che già si sente Re, rilancia accusando l’Iran di fomentare il terrorismo in Medio Oriente. Accuse ribaltate da Teheran, che accusa i Saud di essere i veri sponsor del terrorismo internazionale, e dell’Isis in particolare.
Per la maggior parte dei libanesi non c’è dubbio sul fatto che sia stato il principe Mohammed bin Salman (MbS) a costringere Hariri alle dimissioni, nello stesso momento in cui organizzava la ‘notte dei lunghi coltelli’ a Riyadh arrestando per corruzione molti membri della famiglia reale. Ennesima interferenza esterna, per ora senza soldati.
Ma le dimissioni forzate e la durissima dichiarazione di Hariri contro le ingerenze iraniane non hanno provocato quello sperato sussulto di orgoglio contro l’Iran. Per ora invece, al centro di tutte le critiche c’è l’Arabia Saudita, anche tra chi è di solito molto critico nei confronti dell’Iran e del suo alleato libanese, gli hezbollah. E in assenza di informazioni certe, denuncia Pierre Haski, sulla francese OBS, ‘i libanesi temono una nuova guerra tra Israele e Hezbollah’.
Quel giovane saudita minaccioso. MdS, ha già al suo attivo l’atroce guerra dello Yemen e la crisi con il Qatar, e ora vuole restaurare la potenza sunnita contro l’attivismo dell’Iran sciita nel mondo arabo. Accanto ai petrodollari sauditi, l’amministrazione Trump che ha appena rifiutato di ‘certificare’ l’accordo nucleare di Obama e dal resto del mondo. MBS più Trump più Netanyahu, che da anni avrebbe bombardato l’Iran se non fosse stato fermato da Obama e dai suoi stessi militari, che sostiene bisogna tagliare le ali all’Iran e agli hezbollah prima di ieri. Come già accaduto nel 1982 e del 2006. Chi pensa che in questa regione il peggio sia sempre dietro l’angolo e ha soldi, verifica la validità di passaporti e visti. Pessimismo immotivato? In quale altro paese del mondo un primo ministro si dimette senza che nessuno capisca perché?
Passare dalla strategia di Obama, il progressivo distacco dal Medio Oriente a quella di Trump, l’asse con Saud e Israele per tornare a ghettizzare l’Iran, sta sconvolgendo tutta la regione mediorientale.
Riad, sconfitta nella battaglia per il controllo della Siria, cerca una rivalsa lì vicina. Israele, a quanto riportano indiscrezioni di stampa locale e internazionale, starebbe preparando una guerra contro la milizia sciita libanese fin dal 2006, la sua sola sconfitta. E gli Hezbollah i cui combattenti stanno per tornare dalla Siria, dove hanno combattuto negli ultimi quattro anni, ormai esercito ben addestrato. Il timore di molti analisti è che gli Stati Uniti, seguendo e anzi forse anche spronando i Saud su questo sentiero, stiano per commettere l’ennesimo errore nella loro politica estera in Medio Oriente.
Gli errori storico-strategici Usa elencati su Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. Fu un errore appoggiare la jihad e i mujaheddin in utilità anti-sovietica negli anni ’80, fu un errore la guerra in Iraq del 2003, e il dopo dell’amministrazione Bush. Solo per limitarsi al peggio. Oggi, la speranza saudita di coinvolgere direttamente l’Iran in un confronto con Israele, a fargli perdere le simpatie conquistate in Occidente. L’occasione per gli Usa di Trump di convincere l’Europa a ghettizzare nuovamente Teheran. Gli Ayatollah non sarebbero certo tanto ingenui, ma uno scontro aperto tra Israele e Hezbollah col controllo del Libano sul piatto li metterebbe in difficoltà.
Altro regista occulto, gli Stati Uniti di Trump, i “falchi” dell’amministrazione che vogliono appunto spingere Teheran nell’angolo, contro gli inviti alla prudenza del segretario di Stato Rex Tillerson e le resistenze dell’Unione europea e delle capitali europee.
Il timore di molti analisti è che gli Stati Uniti stiano per commettere l’ennesimo errore nella loro politica estera in Medio Oriente. A partire dall’atteggiamento ‘ambiguo’ nei confronti dell’Isis in chiave anti Assad. Rischio di ulteriore marginalità statunitense nell’area, a tutto vantaggio della Russia. E rischio boomerang. Il precedente del Qatar, ricco e influente membro del fronte sunnita, che si è rifiutato di seguire la linea di Riad e Washington e si è avvicinato all’Iran. Teheran che ora ha buoni rapporti con la Turchia via Mosca. Ed il piano sponsorizzato dagli Usa -valutazione diffusa- se anche andasse in porto rischierebbe di provocare uno scontro tra blocchi islamici su scala ancora maggiore che in Siria. Aprire le ostilità in Libano rischia di unire ancor di più Russia e Iran. Così come Turchia e Qatar, allo stesso modo, stanno ora con gli sciiti nell’ottica di uno scontro con l’Arabia Saudita.