
Dal 2001 la presenza americana e Nato, senza contare i dieci anni precedenti di supporto Usa ai mujaheddin anti sovietici. Ma La Nato insiste. I ministri della Difesa hanno deciso di rafforzare la missione in Afghanistan, passando dalle 13.459 unità attualmente presenti sul terreno a 16mila. Il segretario generale Nato Stoltenberg, prova a minimizzare. Niente missioni di combattimento ma solo addestramento e sostegno. A complicare le cose, Arabia Saudita e Qatar hanno promesso il loro supporto alla missione Nato.
Con 1.037 persone impegnate nella missione Nato in Afghanistan, l’Italia è seconda solo agli Stati Uniti (6.941), per presenza nella missione Nato.
I talebani non gradiscono e avvertono Nato, Stoltenberg, Usa (e Italia). «Le truppe di occupazione dovranno prepararsi ad una lunga guerra». Via Twitter, Zabihullah Mujahid, portavoce dell’Emirato islamico dell’Afghanistan (i talebani), promette che «Gli afghani non permetteranno la presenza di truppe straniere sulla loro terra per un solo giorno».
E i Talebani così si auto accreditano in terza persona: «Sono gente che, in difesa del loro credo e della Patria, hanno obbligato ad inginocchiarsi mezzo milione di uomini sotto il comando della Alleanza Atlantica, attrezzati delle più avanzate tecnologie».
Talebani contro Isis, la nuova guerra che insanguina l’Afghanistan. I seguaci del Califfo, sconfitti in Iraq, ora puntano su Kabul. La prima battaglia nel racconto di Giuliano Battiston su l’Espresso e del 3 luglio del 2015, nei giorni del Ramadan, nella parte più orientale della provincia afghana di Nangarhar, a due passi dal confine con il Pakistan. Terra di traffici transfrontalieri di armi, oppio, jihadisti. Sconfiggere i militanti dello Stato islamico nella Provincia del Khorasan, che vogliono intestarsi il jihad in Afghanistan. Quei nuovi arrivati che pretendono di praticare il vero Islam e l’autentico jihad sono un pericolo.
A più di due anni di distanza, qualche bilancio su questa guerra interna all’islam, nei territori dove si sono fatti le ossa personaggi come bin Laden e al-Zarqawi. Il ‘gruppo del Khorasan’ (Stato Islamico afghano) ha una presenza significativa solo nelle regioni di Nangarhar e Kunar. Per mostrarsi più forti di quanto siano, gli uomini del Califfo hanno puntato su Kabul, la capitale. Dove, scrive Battiston, «hanno ereditato la rete di alcuni veterani della militanza armata, a cui si aggiungono i più giovani, nuovi radicali che hanno abbracciato la violenza, ma privi di esperienza».
Tra gli attentati più sanguinosi, il 23 luglio 2016, quando due kamikaze si sono fatti esplodere a Kabul tra migliaia di manifestanti hazara, la minoranza sciita, facendo più di 80 le vittime. Terrore in cui l’obiettivo primario non è più il governo di Kabul o gli americani invasori, ma i finti jihadisti. Una guerra «fratricida» la chiama qualcuno. Del resto, i rapporti dell’Iran con i talebani non sono una novità. Ecco perché (anche perché) dal 2014, con l’affermazione dello Stato islamico, i Paesi del Golfo hanno dirottato risorse verso il Califfo. Più recente l’attivismo russo, con i talebani che diventano alleati di Mosca contro l’espansione di Abu Bakr al-Baghdadi in Asia centrale e Caucaso.
Sui numeri degli affiliati al gruppo Provincia del Khorasan non c’è chiarezza. La Nato ha stime al ribasso: mille in tutto l’Afghanistan. L’esercito afghano raddoppia il numero. Loro stessi si millantano a 20.000. Nel reclutamento contano i soldi e l’ideologia. I militanti più radicali di gruppi già esistenti, assieme agli opportunisti e agli ‘imprenditori del jihad’, per i quali la militanza è una carriera. Numeri tanto ridotti che non spiegano certi muscoli Usa. Tipo la «Madre di tutte le bombe», 11 tonnellate di esplosivo fatta sganciare da Tump il 13 aprile scorso. Più bombe, òpiù soldati e assieme più pericoli: perché?
Secondo il Sigar, l’organismo che per il Congresso Usa che fa le pulci sui soldi in Afghanistan, i talebani guadagnano terreno. Lo riconosce la Croce rossa internazionale, che dopo 30 anni sta riducendo drasticamente la propria presenza. Lo testimonia il numero di afghani che abbandonano il Paese, respinti dall’Unione europea. Per fortuna (l’analisi su l’Espresso) «Non ci sono state reazioni anti-sunnite da parte degli sciiti. E ad Herat e altrove, sciiti e sunniti hanno manifestato insieme, in un gesto simbolico, altri hanno donato sangue per le vittime. ‘Incoraggiante per il futuro’, la versione ottimistica del triangolo mortale e infernale tra NATO, Talebani e Stato Islamico.