Povera America e poveri noi: strage in chiesa e Trump in Asia

Ennesimo sacrificio sull’altare delle armi

Sparatoria in una chiesa battista in Texas, 26 le vittime. Ucciso l’assalitore, un ex militare.
Un uomo ha aperto il fuoco durante la messa della domenica mattina nella chiesa battista di Sutherland Springs, in Texas, e ha compiuto un massacro, lasciando a terra 26 morti e oltre 20 feriti.
Niente terrorismo, ma solo armi alla portata di qualsiasi follia.
L’aggressore è Devin Kalley, un ex militare di 26 anni, poi stato ucciso dalla polizia.
La ricostruzione è affidata alle testimonianze: venti colpi di pistola, esplosi uno dopo l’altro in un lasso di tempo molto ravvicinato, prima fuori dall’edificio, poi all’interno. L’aggressore indossava una maschera e aveva con sé molte munizioni. Una persona avrebbe inoltre risposto al fuoco. In Texas si va in chiesa armati.

L’America torna a interrogarsi ed avere paura. Solo pochi giorni fa l’attacco, per mano di un “
‘soldato’ dell’Isis nel cuore di New York con un camion su una pista ciclabile che ha fatto 8 morti. E solo un mese fa un altra strage con la sparatoria più sanguinosa di sempre: 58 vittime della violenza cieca di Stephen Paddock che dalla finestra di una suite al 32mo piano del Mandalay Bay Hotel Las Vegas, dove si era barricato con un arsenale di armi automatiche e munizioni, ha sparato come un cecchino all’impazzata contro la folla di un festival di musica country. Il movente anche in quell’occasione resta oscuro, salvo l’arsenale facile.

Dal Giappone Trump twitta

La notizia irrompe mentre il presidente degli Stati Uniti ha appena cominciato un lungo tour in Asia Dal Giappone, la prima tappa, twitta: «Dio sia con la gente di Sutherland Springs, Texas. L’Fbi e le forze di sicurezza sono sul posto. Io monitoro la situazione dal Giappone». Più che altro, sembra impegnato a cancellare ogni traccia dei suo predecessore Obama.
Un’altra picconata alle politiche del suo predecessore dato che il trattato transpacifico (Tpp) è un patto commerciale di libero scambio firmato nel febbraio del 2016 da 12 paesi dell’Asia, inclusi gli Stati Uniti guidati da Barack Obama. Secondo l’attuale inquilino della Casa Bianca, però, gli Usa hanno avuto un deficit commerciale col Giappone per troppi anni. Trump si è inoltre lamentato per gli equilibri del mercato dell’auto sottolineando che milioni di vetture giapponesi vengono vendute ogni anno negli Stati Uniti, mentre non esiste un mercato per i veicoli Usa in Giappone.

Nonostante queste premesse, Trump ha definito le relazioni tra Washington e Tokyo “le migliori di sempre”. E, prima di incontrare insieme alla moglie Melania l’imperatore Hakihito, ha dichiarato che il suo impegno durante la sua visita a Tokyo sarà quello di negoziare una soluzione in maniera amichevole col governo nipponico, rendendo gli Stati Uniti un posto più vantaggioso in cui investire e creando posti di lavoro. Si tratta di una battaglia che ha costituito un punto di forza della campagna elettorale che ha permesso al tycoon di conquistare la presidenza. Il presidente ripartirà domani mattina per la Corea del Sud, prima di vistare la Cina, e poi proseguire in Vietnam e nelle Filippine dove parteciperà al vertice della Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica.

3 giorni dalla quasi rimpianta Hillary

Mancano solo 3 giorni al primo anniversario della vittoria del presidente Usa Donald Trump sulla rivale democratica, Hillary CLinton (malgrado questa avesse ottenuto quasi 3 milioni di voti popolari in più). E Trump ha conquistato un primato che non gli farà piacere: è il presidente più impopolare della Storia americana da quando esistono i sondagi, ossia 70 anni. Secondo una rilevazione congiunta Washington Post/ABC News, il tasso di approvazione di Trump è solo al 37%, «il più basso di qualsiasi altro presidente a questo punto della presidenza in 70 anni». Lo conferma il dato che ben il 59% degli americani disapprova il suo operato, con metà di questi che lo bocciano senza appello.

Nessun altro inquilino della Casa Bianca è stato mai così disprezzato dai suoi connazionali. Al secondo posto con il 41% di popolarità si trovano, alla fine degli anni ’50, il repubblicano Dwight Eisenhower e il democratico Bill Clinton nel 1993. Il sondaggio rivela anche che gli americani sono scontenti per le sue promesse non mantenute: il 65% dice che «non ha portato a casa molto o nulla» mentre solo il 35% ritiene lo abbia fatto.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro