Mohammed El Baradei non è persona che parla a vanvera. Premio Nobel per la pace nel 2005, l’egiziano che ha diretto l’Agenzia internazionale per l’Energia atomica, l’Aiea, fra il 1997 e il 2009 è il volto della lotta laica contro la proliferazione nucleare negli anni caldissimi dopo l’11 settembre 2001. El Baradei diede del bugiardo a Bush quanto mentiva sulle armi nucleari di Saddam, e nel 2007 per l’atomica iraniana che non c’era.
Ora, con Kim Jong-un e Donald Trump in campo, avverte il mondo, «Mai stato così vicino lo scontro nucleare. Sì al dialogo con Kim». E lui, musulmano, aderisce subito all’iniziativa di Papa Francesco, «Perché credo sia un’iniziativa importante e perché sono un grande sostenitore di papa Francesco. È il migliore politico che ci sia oggi, quello che dice sempre ciò che la gente vorrebbe sentire».
Rischio imminente di uno scontro fra Stati Uniti e Corea del Nord, dicono politici e analisti. E il Vaticano lavora per una mediazione che fermi un conflitto che potrebbe distruggere il mondo. Il Vertice mondiale per il Disarmo nucleare il 10 e 11 novembre a Roma. Per discutere di come fermare la corsa al nucleare in Vaticano arriveranno undici premi Nobel per la pace fra cui, oltre a Mohamed El Baradei, Mohammed Yunus, Jody Williams, Mairead Maguire, Adolfo Pérez Esquivel e Beatrice Fihn, direttrice dell’ICAN, la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari che proprio per il suo impegno in nome del disarmo ha vinto il Nobel per la pace quest’anno.
Insieme a loro, i vertici delle Nazioni unite, della Nato e rappresentanti degli Stati coinvolti nella crisi coreana, fra cui in primo piano Stati Uniti, Corea del Sud e Russia.
Al tavolo del Vaticano saranno seduti tutti gli attori del Trattato sul bando delle armi nucleari firmato all’Onu a luglio, dopo 30 anni di negoziazioni, da 122 Paesi, che oggi sembrano un po’ distratti. ‘Non si può pensare che ci sia un futuro sostenibile con 20mila bombe atomiche nel mondo’, dicono in Vaticano. Molto concreto El Baradei: «Faremo pressione sui governi anche parlando con Pyongyang. Io stesso andrei in Corea del Nord a trattare perché demonizzare il nemico non serve a nulla. La tempistica di questa conferenza è perfetta: trent’anni fa abbiamo detto no a queste armi, ma ora siamo in una situazione drammatica, vicini come non mai al loro uso. Oggi un errore, una valutazione sbagliata o un fraintendimento, possono portare allo scontro nucleare fra Corea del Nord e Stati Uniti nel giro di pochi minuti».
Scopo pratico dell’incontro? «Molti pensano che sia una questione sofisticata e lontana: credetemi, non è così. Quello nucleare è un rischio vero. Non possono esserci Paesi più uguali di altri, qualcuno con l’atomica, qualcuno protetto dall’ombrello atomico di nazioni alleate e altri che non devono averla. Vogliamo l’abolizione totale della madre di tutte le armi di distruzione di massa».
E sull’attuale crisi coreana, con una efficace ‘provocazione’ da parte del nobel egiziano. «Gheddafi e Saddam erano dittatori orribili. Ma siamo certi che i loro Paesi stiano meglio oggi? È difficile parlare con gente simile ma dovremmo trovare un modo intelligente per farlo. Se agiamo solo in base al risentimento è peggio. Se ci limitiamo a sanzioni economiche a subire i danni maggiori sarà la gente comune, mentre il regime in questione si arricchirà. L’Iraq questo lo ha dimostrato in modo chiarissimo. Una strada perfetta non c’è ma dobbiamo cercare quella migliore possibile».