
Chi sa quali accordi segreti erano stati raggiunti quando i peshmerga, i combattenti curdi, erano le sole forze organizzate in grado di tenere testa alle milizia jihadiste dilaganti. Promesse fatte allora, ma poi la politica e la diplomazia.. Dopo il controverso referendum sull’indipendenza, forse la forzatura politicamente sbagliata, e nel pieno delle tensioni anche militari con Baghdad -la conquista di Kirkuk da parte della formazioni sciite irachene- il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Massud Barzani, ha annunciato le sue dimissioni al Parlamento di Erbil che le ha accettate.
Una fuga-salvezza, viene da sospettare, che qualcheduno gli ha ‘fortemente suggerito’. Barzani lascia (almeno così annuncia), ma non sta zitto. E parte dal ‘fronte americano’. «Senza l’appoggio dei peshmerga l’Isis non sarebbe stato sconfitto in Iraq e Mosul non sarebbe stata liberata. Perché Washington vuole punire il Kurdistan?». Domanda legittima, risposta non pervenuta. Poi la Baghdad e guida sciita. Fin dalla metà di ottobre, ha puntato l’indice, le operazioni a Kirkuk si sono svolte secondo un ‘piano prestabilito’ messo a punto indipendentemente dal referendum. La consultazione come semplice ‘pretesto’.
Barzani ha annunciato che non eserciterà più il suo ruolo a partire dal 1 novembre. «Cambiare la legge sulla presidenza del Kurdistan o prolungare un mandato presidenziale non è accettabile», ha aggiunto poi il 71enne presidente della regione autonoma curda in Iraq. Barzani, promotore e architetto del recente referendum sull’indipendenza del Kurdistan, ha concluso dicendo che continuerà «a essere un peshmerga che difenderà sempre le vittorie ottenute dai curdi». Patriottismo a parte, alle pressioni esterne si aggiungono le tensioni di sempre tra le due fazioni legate alle famiglie tribali dei Barzani e Talabani, a contendersi primato e territorio.
Barzani paga le conseguenze disastrose del referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno del 25 settembre. Il governo centrale iracheno ha deciso di non cominciare nessun negoziato con le autorità della regione curda finché Barzani resterà al suo posto. L’Iran e la Turchia lo accusano di aver portato il caos in una regione già instabile. I suoi alleati di governo, e perfino i componenti della sua famiglia che ricoprono incarichi importanti nell’amministrazione curda, lo accusano della disfatta militare delle ultime due settimane, in cui le forze curde hanno perso il controllo di ampi territori dopo l’avanzata dell’esercito iracheno.
Prospettive, secondo Zuhair al Jezairy, giornalista iracheno. Il nuovo governo di transizione curdo dovrebbe includere il nipote di Barzani, Nechirvan, e il presidente del parlamento, Yousif Muhammed. Compito del nuovo esecutivo, portare avanti i negoziati con Baghdad, sulla base di questi presupposti: che il cessate il fuoco sia rispettato da entrambe le parti e che i risultati del referendum siano “congelati”. Il governo centrale, però, respinge l’idea della sospensione dei risultati e chiede che siano cancellati (come di fatto è già avvenuto), come se il referendum non fosse mai avvenuto.
Anche se entrambe le parti dicono di voler negoziare, le truppe irachene, sostenute dalle milizie sciite Hashd al shaabi, continuano ad avanzare rapidamente. Si stanno dirigendo a nord, per prendere il controllo degli ultimi checkpoint al confine con la Turchia e con la Siria. I peshmerga curdi cercano di bloccarle. Entrambe le parti combattono con armi fornite dagli Stati Uniti. Nessuno sa quante perdite in termini di vite umane potrebbero causare questi combattimenti prima che i rappresentanti di Erbil e di Baghdad si siedano al tavolo dei negoziati. Una situazione colpevolmente sottaciuta dalla stampa internazionale.