Rincorsa alla paura con sospetti: ora le armi biologiche del Kim

Non solo bombe atomiche. Ma anche micidiali spore di antrace, il virus del vaiolo e una bella infornata di bacilli della peste bubbonica. Il quadretto non esce dalla “Storia della colonna infame” di Manzoni, ma arriva in diretta dall’Estremo Oriente. E l’untore in questione è ormai tristemente “popolare” in mezzo pianeta: il dittatore nordcoreano Kim Jong-Un. Il “Belfer Center” dell’Università di Harvard ha tirato fuori un report che fa accapponare la pelle e che, qualora ce ne fosse ancora bisogno, testimonia il rischio elevatissimo di devastanti conflitti nella Penisola coreana. E non solo. Lo studio analizza la possibilità (anzi, la certezza) che gli arsenali di Pyongyang siano stipati di armi biologiche, pronte a essere lanciate su sudcoreani e giapponesi, primi “nemici” a tiro. Ma non si salvano manco gli americani, dal momento che i micidiali agenti patogeni potrebbero imbottire le testate dei missili balistici intercontinentali che Kim ha messo in cantiere. La paura, insomma, fa novanta.

La minaccia di una guerra biologica non fa dormire sonni tranquilli alla Casa Bianca, che potrebbe essere tentata di darci un taglio e di partire al contrattacco. Ipotesi che fa rabbrividire, specie se esperti di indiscussa fama, come l’ex Direttore della Cia, James Clapper, dicono che “rischiamo la terza guerra mondiale” e che Trump ci sta portando di gran corsa, come il pifferaio di Hamelin, verso il precipizio. Clapper, in un’intervista alla CNN, si è detto preoccupatissimo, perché una mossa sbagliata degli americani potrebbe far saltare il banco, innescando una catena di reazioni e controreazioni fino al disastro finale. Si tratta di uno scenario simile a quello della “Crisi di luglio” del 1914, quando, a chiacchiere, nessuno voleva la guerra che, però, scoppiò il mese dopo come risultato di una sommatoria di errori diplomatici. Certo, parlare di “terza guerra mondiale” è un po’ una forzatura. Oggi cinesi, americani e russi le guerre che contano le fanno solo dentro le banche e a colpi di dollari, ma pensare a un “olocausto regionale” nel Pacifico non è sbagliato.

Tornando al rapporto del “Belfer Center”, esso sottolinea come l’impatto del “rischio biologico” sulla psicologia delle masse sia devastante. Queste armi sono concepite per uccidere lentamente, contagiando in maniera esponenziale intere popolazioni ed esponendo i governi a costi proibitivi, sia sul versante della prevenzione, che su quello, ancora più oneroso, della cura dei cittadini colpiti dalle malattie infettive causate dai microbi disseminati dopo un attacco. La spesa necessaria a fronteggiare una tale emergenza sarebbe tale da fare implodere qualsiasi sistema sanitario nazionale. Kim lo sa e gioca spregiudicatamente su questo tavolo. I suoi strateghi gli hanno spiegato che, ai potenziali bersagli, costa molto di più prevenire, affrontare e gestire le conseguenze di un attacco biologico piuttosto che mettersi d’accordo con Pyongyang. Il ricatto è sempre quello in stile camorra: o paghi o ti brucio la saracinesca.

Con l’avvertenza che il prezzo della “protezione” adesso si è alzato e comprende anche la garanzia, scritta e controfirmata, sulla sopravvivenza dell’incartapecorito regime comunista e dello stesso Kim, che comincia a temere di fare la fine di qualche imperatore romano, accoltellato dai suoi stessi pretoriani. Pare, infatti, che una delle opzioni sul tavolo sia quella di fargli la festa. Ne ha accennato, di straforo, l’attuale capo della Cia, Mike Pompeo, che ha parlato della necessità di “unire gli sforzi” per fermare Kim. Un appello ai cinesi? Si conoscono anche i piani, più o meno “segreti”, studiati dai sudcoreani (“Operazione decapitazione” si chiamerebbe la trama). Quindi, per salvare la pellaccia, è il caso di dirlo, il dittatore ora si aggrappa anche alla peste bubbonica. D’altro canto, la storia e la vita insegnano che si trova sempre un “servo fedele” pronto a sbarazzarsi del padrone. Basta pagargli il prezzo giusto.

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