
L’intento militare delle composite truppe agli ordini di Baghdad sembra quello di proseguire verso Nord e conquistare la punta nord-occidentale del Kurdistan, un triangolo che confina con la Siria e la Turchia, di grande interesse strategico. E non è più azione anti secessione, ma operazione di vera e propria conquista.
«Le milizie Hashd al-Shaabi sono state respinte verso Rabiaa», sostiene il presidente curdo Barzani. Rabiaa si trova a 40 chilometri dal posto di confine con la Siria di Fish Khabour, e a 50 chilometri da quello con la Turchia di Ibrahim Khalil. Poco distante si trova anche la diga di Mosul, presidiata dai militari italiani.
La linea dei peshmerga corre lungo un terrapieno che sovrasta il Piccolo Zab, l’affluente del Tigri. Venerdì scorso i curdi l’hanno fatto saltare in aria prima che i carri armati dell’esercito iracheno e delle milizie sciite lo attraversassero. «Dopodiché mancavano 45 chilometri di autostrada per raggiungere Erbil», spiega il generale Kamal Karkuki. mandato sul fronte più caldo nella guerra fra il governo centrale di Baghdad e il Kurdistan.
Lo schieramento dei peshmerga è nascosto dietro le trincee. Le postazioni strategiche, quelle che proteggono i lanciamissili anti-tank e pezzi di artiglieria da 122 millimetri, sono tenute segrete. Si vede solo qualche jeep con i pezzi da 105 montati sopra.
«Kirkuk è caduta solo per il tradimento di una parte del partito Puk. Hanno ritirato i loro peshmerga di notte e all’alba gli abitanti si sono risvegliati con le milizie Hashd al-Shaabi per le strade. Se avessimo potuto combattere come abbiamo fatto qui sarebbe ancora nostra». I ‘traditori’ sono i figli dell’ex leader del Puk Jalal Talabani, morto tre settimane fa, che hanno preso in mano il partito «e si sono accordati con Baghdad e con l’Iran».
«Siamo per una soluzione politica ma Baghdad deve fare attenzione. I civili a Kirkuk si stanno organizzando. Li attaccheranno, per loro sarà un inferno continuare a occupare la città. Sono pronti ad azioni di guerriglia».
Ma i civili fuggiti da Kirkuk continuano ad aumentare, sono ora 150 mila, e a Erbil nessuno si fida più degli iracheni e neanche delle garanzie americane. Previste manifestazioni di protesta davanti al consolato Usaq. Mentre le voci su nuovi attacchi si moltiplicano. Le milizie sciite, è il timore, stanno puntando al confine con la Turchia, «vogliono passare il Tigri al ponte di Zumar e occupare il posto di frontiera di Khalil Ibrahim». I peshmerga sono schierati in forze, anche perché il premier iracheno Haider al-Abadi sarà domani ad Ankara e la sensazione è che il cerchio continui a stringersi attorno al Kurdistan, con buona pace delle garanzie statunitensi.
Esercito Italiano, sicurezza e intelligence annessi, è presente nel Kurdistan iracheno fin dall’ottobre 2014. In Kurdistan, l’Italia prepara le forze destinate alle difesa di luoghi pubblici come aeroporti, ambasciate e checkpoint. Più sbirri che soldati tra i curdi, più carabinieri tra gli istruttori italiani. Gli addestratori sono circa duecento ma il numero totale di militari italiani presenti sul suolo iracheno-kurdo -ora la distinzione diventa questione seria di sicurezza- è di quasi 900 uomini, a cui si devono aggiungere altri 500 impegnati a garantire la sicurezza al personale della ditta Trevi, incaricata dei lavori di risanamento della diga di Mosul.
Ora il problema sarà quello della sicurezza da garantire ai nostri stessi soldati.