L’Iran sempre più protagonista tra l’ostilità americana e dintorni

Il 24 agosto il Qatar, stato arabo musulmano sunnita, annuncia il ritorno in Iran del suo ambasciatore un anno e mezzo dopo una crisi interna all’islam tra obbedienza sunnita e sciita fatta esplodere dall’Arabia Saudita. Teheran contraccambia il gesto con atti concreti: l’apertura dello spazio aereo e invio via mare di derrate alimentari dopo la chiusura dei confini terrestri imposto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, gli alleati petroliferi sauditi. Aiuti subito e prospettive di cooperazione attorno al ‘South Pars’, il ricchissimo giacimento sottomarino di gas naturale condiviso dai due Paesi.

Non solo Qatar. Teheran plaude al ritorno dell’ambasciatore di Doha e annuncia l’ampliamento della cooperazione energetica anche con l’Iraq, Paese guidato da leader sciiti. Ma a stupire, una sorta di tregua con l’Arabia Saudita nel nome della fede. Pellegrinaggio alla Mecca che torna ad essere consentito agli iraniani, scambio di visti e prossime visite ufficiali a sorprendere presto, sussurra il Medio Oriente.
L’Iran trae anche profitto dalla strategia in Siria: sue le truppe vincenti accanto a quelle russe e agli hezbollah libanesi sciiti. Inoltre, l’accordo sul nucleare sta portando contratti miliardari con compagnie straniere che tornano.

Teheran tratta anche con con la Turchia superando la memoria di secoli di guerre tra imperi persiano e ottomano, sulla la questione curda. A prospettare un’operazione Ankara/Teheran in Iraq contro il PKK e le sue filiali siriane -Ypeg, e iraniana, PjaK- è stato il presidente turco Erdogan. L’ormai imminente scadenza del referendum di secessione del Kurdistan dall’Iraq, accelera la crisi. Possibili azioni armate comuni, minaccia il leader turco. Frenano le Guardie Rivoluzionarie, ma la possibilità esiste. Il 15 agosto il Capo di Stato Maggiore iraniano è stato ospite ad Ankara. Non accadeva dai tempi remoti dello Scià. Tutto ciò grazie al riavvicinamento di Astana, Kazakistan, con l’intesa siglata da Turchia, Iran e Russia per le zone di de-escalation in Siria.

Ma Donald Trump non gradisce

Non poteva mancare l’ostracismo del presidente americano Trump, da sempre ostile all’Iran per compiacere Israele. Il presidente Usa preme sull’intelligence affinché produca in qualche modo prove a sostegno delle violazioni dell’accordo sul nucleare del 2015 da parte di Teheran. Lo rivela il quotidiano britannico “The Guardian” che scrive, «Un’eventuale denuncia dell’accordo potrebbe portare a una nuova corsa al nucleare, peraltro già innescata dalle tensioni fra Washinton e Pyongyang». L’ex analista della CIA ed ex portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Ned Prince, dichiara: «Ho la sensazione di avere già visto questo film del deja vu», con chiaro riferimento a quanto accaduto con la guerra in Iraq nel 2003 e con le false prove sulla presenza di armi di distruzione di massa.

David Cohen, ex vice-direttore della CIA, definisce “sconcertante” il fatto che Trump sia già giunto a tale conclusione senza che l’intelligence abbia fornito alcuna prova al riguardo. Eppure Washington ha fino a ieri ammesso che Teheran ha rispettato gli impegni assunti firmando l’accordo sul nucleare. Che sta accadendo?
«I servizi segreti hanno imparato bene la lezione dell’Iraq -accusa Richard Nephew, uno dei negoziatori per la Casa Bianca dell’accordo- Sono quasi certo che gli analisti che conosco si dimetteranno e che lo diranno ad alta voce prima di permettere che le loro parole siano distorte e trasformate in modo simile a quanto accaduto in Iraq». L’amministrazione americana sta esercitando una pressione anche sull’Agenzia Internazionale per l’energia atomica, l’Aiea, perché richieda ispezioni nei siti militari in Iran.

Per fortuna, Casa Bianca a parte, c’è un consenso generale sulla mancanza di prove di qualsiasi presunta violazione dell’intesa. Nell’ipotesi di una forzatura della presidenza USA nel dichiarare violato l’accordo sul nucleare iraniano, l’intesa con Teheran e con gli altri Paesi firmatari potrebbe procedere senza la partecipazione di Washington.
Una decisione che approfondirebbe la crepa tra Europa e l’amministrazione Trump.
È lo scenario previsto da David Cohen, ex Cia: «Di fatto, Washington non sarà sostenuta dal resto della comunità internazionale, né dai suoi alleati in Europa, e certamente non dai russi né dai cinesi nel tentativo di ristabilire una vera pressione sugli iraniani».

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