
Dopo il 1918 furono cancellati dalla carta geografica l’impero russo, l’impero austroungarico, quello tedesco e l’impero ottomano. I nuovi stati sorti dalla loro dissoluzione non ebbero vita facile né da un punto di vista economico, né politico, ma soprattutto – in balia a sentimenti nazionalisti più o meno comprensibili, ma non sempre giustificabili – ridisegnarono le frontiere precedenti. In questo modo inclusero o esclusero insomma parti di popoli o regioni che prima erano appartenuti ad altre realtà, senza per questo ottenere sicurezza e nemmeno democrazia al loro interno. I maggiori cambiamenti si ebbero nella parte orientale d’Europa, dove d’altra parte si svilupparono nazionalismi acuti e situazioni più complesse.
Ad esempio – sebbene nei secoli passati fosse esistita un’entità statale polacca con altre forme e diverso territorio – la nuova Polonia dopo il 1918 si trovò impegnata ad oriente attaccata dalla Russia sovietica che semplicemente voleva riprendersi una provincia già posseduta ai tempi dello zar. La Russia alla fine fu sconfitta nel 1920, ma si rafforzò un sentimento nazionalista e isolazionista, comprensibilmente dai forti connotati anti bolscevichi. Ad occidente invece erano sparse varie comunità di lingua tedesca dal corridoio di Danzica alla Slesia e spesso, come nel caso di Pabianice, si trattava di comunità insediate dal Settecento volutamente chiamate a svolgere un ruolo di sviluppo economico e commerciale. Sebbene non si possa parlare di persecuzioni, il trattamento delle minoranze tedesche non fu proprio tollerante e, assieme all’obbligo della lingua polacca, rinfocolò alla fine un altro nazionalismo. I circa duecento cinquantamila tedeschi di Polonia divennero poi facile preda della propaganda della Germania nazista.
Naturalmente i tedeschi non furono la sola minoranza sparsa in Europa orientale a risentire della situazione del dopoguerra, perché gli stessi spostamenti dei confini crearono altre situazioni in cui una parte della popolazione si sentiva comunque più legata a quella che si trovava dall’altra parte della nuova frontiera che a quella del proprio stato di appartenenza. Tra i paesi che avevano ottenuto i maggiori vantaggi territoriali dalla dissoluzione dell’Austria-Ungheria, la Romania ad esempio si trovò ad inglobare nel proprio territorio una parte consistente di popolazione di lingua ungherese e un’altra di lingua tedesca, insediata tra l’altro già nel Medioevo a partire dal XII secolo, come i Sassoni di Transilvania o gli Svevi del Danubio.
Altro discutibile comportamento attuato dal governo polacco tra le due guerre fu rivolto contro la minoranza ebraica, anche se l’antisemitismo era comunque diffuso in altri stati dell’Europa orientale e non solo in Polonia. Qui tuttavia si verificarono le maggiori contraddizioni. Gli argomenti dell’antisemitismo derivavano dalla propaganda già fatta ai tempi degli zar, quando ciclicamente violenti pogrom scoppiavano contro la popolazione ebraica. Solo in Polonia, ad esempio, sebbene fosse stato riconosciuto dappertutto come un ‘falso’ (realizzato dalla polizia segreta zarista), si continuò invece a credere nell’autenticità di un documento orribile come ‘I Protocolli dei Savi di Sion’, una delle peggiori macchinazioni mai ordite dall’antisemitismo. Al contrario numerosi ebrei avevano partecipato alle rivolte polacche contro i russi condividendone lo sfortunato destino, come era accaduto nel 1794, nel 1830 e nel 1863. Nel 1938, seguendo lo slogan ‘la Polonia ai polacchi’ un provvedimento governativo privò della cittadinanza polacca i circa settantamila ebrei residenti all’estero da più di cinque anni. Prima della scadenza fissata per il rientro in Polonia – necessario per conservare la cittadinanza – la Gestapo organizzò una retata per ‘riconsegnarli’ alla Polonia; in realtà migliaia di persone rimasero per mesi senza alcuna protezione nella terra di nessuno, prima che lo scoppio della guerra e l’Olocausto li inghiottissero per sempre.