
L’eco da Barcellona si è spento, a mente fredda possiamo ragionare. Terroristi o uccisi o arrestati, le vittime sono state sepolte, la triste routine si è conclusa. Al punto al quale siamo arrivati è allora doveroso trarre delle conclusioni.
Ma cosa significa trarre delle conclusioni su un fenomeno di terrorismo, quello che stiamo subendo in questi ultimi tempi, che sembra non aver mai fine, anzi sembra che si rinnovi perché si presenta con metodologie sempre diverse e più fantasiose? Mettiamoci a tavolino per ragionare.
Tutto quello che si poteva fare o si era capaci di fare per contrastarlo, a livello di strutture organizzative, dell’intelligence, di misure di prevenzione è stato fatto. Gli Stati europei non possono onestamente essere accusati di non aver fatto il loro meglio, nessuno può pontificare dicendo cosa si dovesse fare e cosa non si è fatto e via dicendo. Forse lo hanno fatto male, commettendo errori, e qui c’è margine di intervento, ma fatto.
Accettiamo allora un dato di situazione: queste sono le nostre capacità che non sono sufficienti a tutelarci da qualsiasi tipo di attacco. Contro tutto non può esserci difesa. Una componente di insuccesso va accettata.
È pur vero che gli attacchi ai quali siamo soggetti sono attacchi di tipo particolare, estremamente semplici, non difficili da organizzare. Pensate ad un qualunque radicalizzato o pazzo alla guida di una 500 che decide di lanciarsi a tutta velocità in via del Corso a Roma affollata di turisti. Ma proprio per questo, contro questo tipo di offesa non c’è una difesa assoluta. E allora che cosa dobbiamo fare? Semplicemente dobbiamo cercare di impedire fisicamente che simili atti possano essere messi in atto.
L’IS, la massima espressione del terrorismo internazionale, ha perso la sua capacità militare propriamente detta. Se ricorre ad attentati fatti con un furgone e a bombole del gas come è successo in Spagna significa che non è più in grado di fornire esplosivo e kalashnikov ai suoi fanatici quanto sprovveduti agenti. I terroristi veri si rivolteranno nella loro tomba, peggio per loro.
E questo è un segnale positivo dell’efficacia dell’Intelligence Generale degli Stati europei che, almeno da questo punto di vista, ben funziona.
Ma la constatazione importante è che contro questo terrorismo casareccio, sempre grave e foriero di lutti, occorre organizzare le nostre città in maniera che possano difendersi. Non si tratta di snaturare l’armonia strutturale delle città ma di difenderle, appunto.
Qui subito insorgeranno i puristi dell’architettura contrari alla blindatura delle strade, ai muri, alle corsie obbligate di transito e via discorrendo.
Certo con provvedimenti affrettati e non studiati le città potrebbero apparire “meno belle”, però se riusciremo a trovare la maniera di mettere degli ostacoli che non siano esteticamente così invasivi il problema potrà essere superato.
Qualcuno in questi giorni pensa di mettere delle belle fioriere di cemento od altro materiale progettate da archistar all’ingresso dei percorsi pedonali, forme aggraziate pur mantenendo capacità di forte resistenza agli urti e di ostacolo, alberi di alto fusto ornamentali tipo quercia all’inizio dei viali per impedire l’ingresso di auto nelle zone pedonali, ma poi possiamo mettere anche pilastrini automatici a scomparsa negli accessi per eventuali mezzi di soccorso, dando sfogo alla creatività che certo non manca.
Gli attentati oggi sono di questa bizzarra natura e contro questi ci dobbiamo organizzare con un po’ di pragmaticità ma anche lungimiranza.
D’altro canto non dimentichiamoci che nel medioevo quando i Comuni si accorsero di essere sotto schiaffo da parte dei barbari, crearono le mura ed i fossi di protezione attorno alle città. All’epoca probabilmente quelle mura non piacevano a tutti, ma furono fatte per necessità ed oggi sono considerate un elemento architettonico di grande rilevanza.
Tutto questo discorso per far capire che le misure che si devono prendere sono da mettere in relazione ai tempi che stiamo vivendo e quindi il rifiutarle risulta anacronistico e colpevole. Il Sindaco di Barcellona, è una signora, che si è dichiarato contrario agli ostacoli sulla Rambla, forse ora si pente delle sue scelte.
Un secondo aspetto riguarda l’impiego delle forze dell’ordine. Gli apparati di sicurezza sul territorio, militari, poliziotti sulle strade, divise ostentate in ogni dove, presidi fissi di sinagoghe e punti sensibili servono a poco contro questo tipo di terrorismo. Sono più utili contro altri attacchi più complessi, quali autobombe od esplosivi, che in questo periodo non sembrano però possibili. Occorre allora dislocare più agenti nelle strade, nei luoghi affollati da turisti, verosimili obiettivi.
Quindi, meno uniformi in giro, meno soldati armati di tutto punto con giubbotti antiproiettile e fucili da guerra che li appesantiscono togliendo loro agilità, ma più agenti in borghese magari, in maglietta e in bermuda travestiti da turista, capaci però di intervenire tempestivamente se qualche pazzo con un furgone entra in una zona pedonale per uccidere. Il numero degli agenti nelle zone e nelle ore critiche deve essere tale da consentire che egli non possa percorrere nemmeno 100 m prima di essere abbattuto. Se sulla Rambla o sul lungomare di Nizza ci fossero stati assetti di questo tipo quel furgone non avrebbe percorso i 530 metri che ha percorso prima di essere bloccato fortunatamente dallo scoppio dell’air bag, ma sarebbe stato arrestato poco dopo l’inizio della sua corsa assassina.
Un accenno all’Italia. Hanno detto che adesso siamo noi sotto attacco. Benissimo siamo pronti, abbiamo messo in atto con grande impegno tutte le misure necessarie, siamo consci del fatto che non possiamo difenderci da tutto ma siamo altrettanto determinati a fare in modo che i danni siano ridotti al minimo possibile. Vedremo. I cittadini devono avere fiducia nelle istituzioni perché esse stanno facendo quanto nelle loro capacità per tutelare la nostra popolazione. Fino ad ora in Italia ci sono riuscite, ma un attentato del tipo perpetrato a Barcellona è sempre possibile perché facile da organizzare per chiunque.
Questo terrorismo “residuale” dopo la sconfitta militare dello IS riguarda tutti. Non segue logiche ne motivazioni particolari se non la voglia di uccidere, in nome di Allah. Colpirà dove capita, dove le misure di Intelligence e di protezione fisica saranno casualmente allentate o carenti, senza teoremi o progettualità strategica.
Basta allora con le chiacchiere a fini elettorali di qualche sprovveduto stratega o esponente politico chiamati in TV per riempire i palinsesti.
La grande sfida rimane comunque quella dell’eliminazione dell’ideologia del terrorismo che evidentemente è capace di fare proseliti tra i giovanissimi senza ideali e senza futuro, alla ricerca di un’eccitante avventura e di un’effimera gloria, salvo poi abbandonarli perché a questo terrorismo subdolo e vigliacco non servono martiri dell’islam ma solo effetti eclatanti, ottenuti con questi manovali del terrore.