Nel momento del dolore, della solidarietà, della condanna del terrorismo islamico, ricordiamoci anche di chi ha aperto il vaso di Pandora, delle guerre sciagurate, di chi porta la responsabilità politica di avere destabilizzato il Medio Oriente, delle immonde complicità di Paesi e governi con cui continuiamo a fare affari e a siglare contratti per forniture militari. I terroristi non vengono da un altro pianeta, vengono dal mondo arabo e musulmano, ma questo dato non può continuare a nasconderne altri. Se vogliamo combattere davvero il terrorismo, prendiamo le contromisure contro i Paesi che lo finanziano e lo sostengono, pur essendo cosiddetti “amici”.
L’ideologia radicale era sotto la cenere da secoli, ma il primo momento di esplosione è in Afghanistan, quando cioè americani e sauditi sostennero e armarono la guerriglia islamica contro l’Armata Rossa. Cosi nascono Al Qada e Ben Laden. Poi le guerre in Iraq e in Libia, con la pretesa di esportare democrazia con le bombe. Infine la Siria di Assad, altro regime laico inviso all’Islam radicale. Dopo Al Qada è nato il concorrente Califfato. Ucciso Ben Laden, ucciso (forse) il Califfo Al Baghdadi, sono rimaste le truppe, tracimatate in varie regioni dell’Asia e dell’Africa e nel cuore dell’Europa.
Morti i capi, sconfitte o comunque contenute le organizzazioni sul terreno, restano le schegge impazzite e la galassia dell’antagonismo sociale delle nostre periferie europee e soprattutto francesi. Antagonismo sociale che si alimenta dell’indottrinamento radicale. I maggiori controlli e l’intelligence possono arginare il fenomeno, sventare complotti, sequestrare bombe e armi, arrestare capi e predicatori, ma non possono mettere le manette all’aria mefitica che circola in intere generazioni, alle quali sono stati dati pretesti, bandiere, slogan. Ecco perché le responsabilità sono più grandi. Esse costituiscono un terribile alibi alla follia che uccide.