
Girano in queste ore serissimi e apprezzatissimi decaloghi su come si fa giornalismo ai tempi del terrorismo (o in guerra). Manuali di stile che vanno per la maggiore e che partono tutti con la meravigliosa frase: ogni fatto che pubblicherete dovrà essere ‘puntualmente verificato’. Puntualmente c’è sempre. Sul verificato, sorrido.
1, uno schemino. Per prima cosa penso che non sia necessario fare uno schemino in cui si parla di giornalismo ai tempi del terrorismo. Perché si potrebbe dire: in tempi di guerra? (E viene in mente Marc Bloch…) Ma poi io aggiungo: e in tempi di pace? O lungo le strade delle nostre città gentrificate nel silenzio, nell’epopea della distruzione culturale e sociale quotidiana, parlando di migranti, di lavoratori, dei nostri figli precari, della povertà, della privatizzazione feroce di ogni bene comune? In quei casi le verifiche servono? O basta ignorare i fenomeni per vivere sereni e contenti?
2, torniamo alle verifiche. Come si fanno? Chi le fa? Immaginiamo che con i tempi stretti dello spettacolo mediatico sia complicato prendere informazione per informazione e verificarne attendibilità e fonte. Direi complicatissimo, quasi impossibile. Allora che cosa accade? Che si fa un tanto al chilo: se l’informazione viene da questo canale è più o meno affidabile, se arriva da un canale sconosciuto no.
3, non è un buon metodo, ma così funziona. Concetto superato dal fatto che la maggior parte delle informazioni giungono dalle agenzie internazionali che, in teoria, dovrebbero fare loro le verifiche. Ma noi non lo sappiamo… Non sappiamo certo se una Afp che arriva da una zona africana, di interessi francesi forti, racconti un fatto o una interpretazione di parte. La prendiamo come buona anche se la sensazione è che possa rappresentare un prolungamento della mano militare-affaristica. Insomma che agisca sul fonte della propaganda.
4. Già la propaganda, un’arma più efficace di una bomba. Perché agisce e non lo sai, non te ne accorgi, anzi, quando è ben fatta, ti sembra di cavalcare la tigre speciale della democrazia, della conoscenza come canale privilegiato. Quanti giornalisti ho visto surfare sull’onda di notizia di provenienza certa, certissima (per me equivoca e antidemocratica).
Ma si sa, se la fonte è autorevole… Ma qualche volta è proprio la fonte autorevole a rappresentare la distorsione dell’informazione, in quanto non necessita di verifiche essendo verificata alla base, e quindi può immettere nel sistema qualunque cosa.
4, efferatezze a mezzo stampa. Ne abbiamo viste di efferatezze in questi decenni in cui, attraverso la stampa libera e democratica, lungo gli itinerari mediatici più autorevoli sono transitate bufale, mezze bufale, notizie parziali in grado di produrre effetti incredibilmente efficaci. Sul fronte della guerra umanitaria, chirurgica, intelligente, monocratica, sibillina o asimmetrica sono passate quintalate di informazioni capaci di orientare il pubblico pagante, costruendo una mentalità securitaria: un modo di pendere acriticamente dalle labbra di un sistema di ingiustizie.
5. Non dico che i giornalisti siano sempre stati consapevoli, perché di fronte all’autorevolezza, all’editore, ai vantaggi generali eccetera, qualunque forma di rispetto e coscienza è finita in cantina. Meglio una sana e corale informazione dove la verifica non serve e la fonte è Doc.
Peggio per chi ha studiato, verificato, cercato fonti dirette, scritto esponendosi in prima persona. Peggio per gli eroi silenziosi di un sistema che non si basa su decaloghi che piovono dagli Usa, ma che hanno creduto nel mestiere, nell’etica, nella possibilità di scrivere per cambiare – ognuno per quello che può – il mondo. Peggio per loro.
6, manaletti di stile. Poi – continuano i manualetti di stile – non si deve fare sensazionalismo, non si devono prendere granchi, non si deve dare la parola a esperti mediatici ma fasulli, non si dovrebbe stare alla catena del potere finanziario, e nemmeno del potere politico. Che tenerezza…
C’è bisogno di andare a cercare il sensazionalismo e l’impreciso dopo un attentato, nella sequenza stucchevole dei “sembra che…” “pare”, in un profluvio di condizionali e di affermazioni provvisorie e spaventose? O basta accendere la tv e guardare una qualsiasi delle arene mediatiche televisive?
7, pornografia dell’informazione. “Osceno è tutto ciò che mette fine a qualsiasi sguardo, a qualsiasi rappresentazione. Non è solo il sessuale a diventare osceno, c’è oggi tutta una pornografia dell’informazione e della comunicazione, una pornografia dei circuiti e delle reti; non è più l’oscenità di ciò che è nascosto, rimosso, oscuro, è quella del visibile, del troppo visibile, del più visibile del visibile, è l’oscenità di ciò che non ha più segreto, di ciò che è interamente solubile nell’informazione e nella comunicazione”.
8, Polemos. Dal momento che questa rubrica di fine settimana si chiama Polemos, e in qualche modo evoca il demone del conflitto, ho pensato di dedicare il pezzo a questa significativa ed essenziale citazione di Jean Baudrillard. Perché ritengo che in questa democrazia mediatica asimmetrica occorra affrontare il troppo visibile, tutto ciò che è “interamente solubile nell’informazione e nella comunicazione”. Al di là dei decaloghi o manualetti per boy scouts del giornalismo.