Quando le ong scelsero di schierarsi: Bosnia 1993

Organizzazioni private di varia natura e diverso orientamento, volontariato caritativo od organizzato, le Ong oggi, erano già intervenute a scopo umanitario nelle crisi e nei conflitti del XX secolo. Ma la loro prima comparsa su larga scala risale alla guerra in Bosnia e all’assedio di Sarajevo o di altre enclaves. Come accaduto per le dolorose lezioni impartite dalla guerra etnica -sulle quale si è parlato molto, ma riflettuto poco-, altrettanto sembra ora succedere nel turbolento dibattito scatenato intorno a queste organizzazioni e alla loro azione nelle operazioni di soccorso in mare dei migranti.
L’attualità in altre pagine, per ‘c’era una volta’ un po’ di storia, che è solo l’altro ieri’. La guerra di Bosnia, che fu la più la grande emergenza umanitaria in Europa dalla fine della Seconda Guerra mondiale in cui numerose organizzazioni non governative o internazionali di aiuti e soccorsi, le Ong e non solo loro, si trovarono spesso prese tra l’incudine e il martello.

L’esperienza bosniaca ancora oggi suscita animate discussioni, a cominciare dal fatto che il principale attore di riferimento e coordinamento sul campo fu allora l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite che tradizionalmente si era occupata di profughi e rifugiati, mai però in Europa né su quella scala. Inevitabile quindi che, accanto alla grave insoddisfazione che progressivamente investì l’operato delle Nazioni Unite, rivelatesi incapaci di far terminare il conflitto o almeno di mitigarlo, pesanti critiche si riversassero anche su chi operava in prima linea e non da un ufficio nel Palazzo di vetro.
D’altra parte la posizione centrale occupata dall’agenzia Onu, era tale da influenzare profondamente l’azione complessa delle organizzazioni più piccole, che ne dipendevano di fatto per tutti i sostegni necessari.

Lo spagnolo José Maria Mendiluce Pereiro al vertice di UNHCR a Sarajevo attirò forse più critiche di altri ed indubbiamente alcuni suoi interventi furono considerati quanto meno contraddittori. Nonostante Mendiluce avesse definito pubblicamente il ‘Blue Book’ (ovvero il protocollo ufficiale delle procedure di intervento) ‘inutile’, e lo avesse revocato concedendo autonomia agli operatori, nel caso di una Ong francese ̶ definita, a suo insindacabile giudizio ‘incapace’ ̶ revocò la cosiddetta ‘carta blu’ comunque indispensabile a svolgere qualunque attività.
Se da un lato insomma ammetteva che procedure e regole per garantire l’imparzialità fossero solo una ‘foglia di fico’ dietro la quale nascondere l’inadeguatezza internazionale ad affrontare tutta la situazione nel suo complesso, dall’altro a suo giudizio – ricorrendo a un potere straordinario ̶ espelleva un’organizzazione che operava in Bosnia con finalità umanitarie.

Dal decisionismo un po’ autocratico di Mendiluce – per altro comprensibile in una situazione di emergenza estremamente tesa e di continua violenza sui civili – l’orientamento di alcune Ong stava però cambiando, respingendo proprio il principio dell’imparzialità e della neutralità.
Ispiratore di quella svolta controversa fu il francese Bernard Kouchner che, dalla fine degli anni Sessanta, in piena crisi del Biafra, si era staccato dalla Croce Rossa internazionale per poi essere tra i fondatori di Medicin sans frontiere.
In Bosnia Kouchner fu tra i primi a dichiarare che fosse invece necessario schierarsi apertamente dalla parte delle vittime, ma nello stesso tempo invocò interventi politici (ovvero ‘militari’) per rimuovere con la forza i fattori che la determinavano. La teoria del “droit d’ingérance humanitaire” il ‘diritto d’ingerenza umanitaria’.

La vicenda del Kosovo rappresentò la svolta del nuovo ‘umanitarismo belligerante’, dopo che erano cadute le barriere della neutralità e dell’imparzialità dell’azione umanitaria, costituì un forte argomento della propaganda interventista. Non stupì affatto che Kouchner -più volte ministro in Francia- nell’inverno del 1999 fosse nominato rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni in Kosovo.

Tags: Bosnia ong
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