Qatar e Neymar, è geopolitica

Dunque, l’«affare Neymar» -tema decisamente non consueto per le attenzioni di Remocontro- come nuova arma di ‘soft power’, analizza con spunti interessanti Marco Bellinazzo su il Sole24ore
L’occasione per rifletterci, il trasferimento di Neymar dal Barcellona al Psg, ma non solo calcio e non solo soldi, ma anche politica internazionale che interviene su situazioni di crisi.
Riflessione: il calcio in meno di un decennio, da fenomeno finanziario e industrializzato si è evoluto in uno strumento ‘geopolitico di soft power’, tra politica e diplomazia, un metodo di legittimazione internazionale di rara e indubbia efficacia.

«Come potrebbe essere altrimenti interpretato un affare che non ha precedenti in termini economici (oltre 600 milioni di euro) e che viene architettato dal fondo di uno Stato sovrano per spezzare l’isolamento in cui è caduto negli ultimi mesi?», si chiede Bellinazzo. A condurre la trattativa per lo spropositato acquisto del calciatore, infatti, è il Qatar Sports Investment, proprietario della squadra francese, il Paris Saint-Germain dal 2011.
Parliamo del braccio operativo in campo sportivo del ‘Qatar Investment Authority’, creatura dall’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani per investire i petro-dollari di Doha e che ha acquisito in poco tempo quote di rilievo in Airbus, Volkswagen, Lagardere, Hsbc, Credit Suisse e Veolia Environnement.

Secondo i rumors rimbalzati tra stampa economica e quella sportiva, il Qatar Sports Investment ingaggerebbe direttamente Neymar per 300 milioni di euro quale testimonial dei contestatissimi Mondiali in programma in Qatar nel 2022. Dettagli ordinativi dell’Uefa, gran baraccone, e indignazioni etiche a parte, che vuol dire quel colpo di mano e quella assurda valanga di soldi?
Il Qatar Sport Investments nel 2010, sponsor del Barcellona, per la modica cifra di 150 milioni, sulle maglie ‘blaugrana’ era apparso prima il marchio “Qatar Foundation” e poi “Qatar Airways”. Dopo gli attentati di Parigi del 2015, il Barcellona decide di prendere le distanze dai dollari sospetti di islamismo radicaleggiante di Doha, e passa a quelli più sterilizzati dei giapponesi di Rakuten.

Il Barcellona calcio, in qualche misura, anticipa le mosse dell’Arabia Saudita e degli altri Stati del Golfo e dell’Egitto che, lo scorso 5 giugno, hanno interrotto le relazioni con il Qatar, accusato di fiancheggiare alcune formazioni dell’Islam radicale, sopratutto quello sciita vicino all’Iran, che non piace a quella squadra di Stati di obbedienza sunnita, con altri terrorismi vicini preferiti.
A rischio, da allora, anche la Coppa del Mondo di calcio che Doha si prepara ad ospitare con investimenti per oltre 300 milioni al giorno tra cinque anni, il primo mondiale di calcio in un paese islamico. Ed ecco l’operazione politico-finanziaria Neymar. Arruolare una star planetaria come nil calciatore brasiliano, fatto volto del torneo, è senz’altro un colpo ad effetto.

Nella primavera 2016, ci racconta che di calcio ed economia ne sa più di noi, il Qatar ha assunto un ruolo centrale nella fondazione di una nuova istituzione calcistica regionale, la ‘Arab Gulf Cup Football Federation’, sede a Doha e guidata dal presidente della Federcalcio qatariota, lo sceicco Hamad bin Khalifa bin Ahmed al-Thani, tra gli uomini più ricchi del paese e cugino dell’emiro al-Thani. Sport, soldi e potere a braccetto.
Sarà lui, il cugino della sceicco capo, ad accompagnare il rilancio del football nell’area attraverso nuovi tornei per le Nazionali e i club di Bahrein, Iraq, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati e Yemen. Il calcio insomma potrebbe rivelarsi più utile degli armamenti nell’accelerare il processo di pacificazione con i vicini mediorientali e con l’Occidente.

La pace del calcio dopo tanta pace presa a calci.

Tags: Qatar
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