Ong-governo sui migranti, su cosa si litiga

La cronaca dal Canale di Sicilia

Ancora morti nel Mediterraneo, ancora migranti alla deriva che hanno affrontato il mare sulle solite imbarcazioni di fortuna. Se la sono cavata in 140 ma per 13 non c’è stato niente da fare. È successo ieri nei pressi delle coste libiche. A soccorrere i superstiti una nave dell’organizzazione non governativa spagnola Open Arms. Poco prima di mezzogiorno che un tweet della Ong avvertiva che l’imbarcazione con i migranti «era sul punto di naufragare con circa 140 persone a bordo e il mare agitato. Non c’è nessuno all’orizzonte. O li salviamo o moriranno».
Intanto altre 90 persone venivano tirate a bordo da Save the Children.
Tutte le operazioni di salvataggio sono state effettuate in accordo con la Guardia Costiera italiana e coordinate dal Centro di Roma. Più tardi, sempre Open Arms, farà sentire la sua voce e sarà un’accusa precisa: «Tredici morti in totale. Persone con nome, cognome, madri, padri, amici e vita. Chi consolerà i loro familiari adesso?».

La cronaca dal Palazzo del Viminale

Al Viminale, ministero degli Interni, l’incontro per discutere ed eventualmente far sottoscrivere alle Ong un codice di condotta, approvato anche a livello europeo, per “regolamentare”, “rallentare” sostiene qualcuno, l’azione delle organizzazioni non governative nel Mediterraneo.
«Stabilire regole chiare per le navi delle Ong impegnate in attività di soccorso ai migranti», dichiara il ministero. Che al termine della riunione deve ammettere che non c’è accordo e che se ne riparlerà venerdì, quando «I rappresentanti delle Ong proporranno emendamenti specifici al documento loro consegnato».
Già il fatto che ci sarà un ulteriore incontro dimostra che il colloquio non è stato dei più tranquilli.

Il Codice del disaccordo
Il codice si compone di dodici regole alcune delle quali -dicono le Ong- non possono essere accettate perché sarebbero un impedimento alle attività di ricerca e soccorso, primo fra tutti, il divieto di trasbordare i migranti su altre imbarcazioni.
Impedire di trasbordare migranti su altre navi esporrebbe, le imbarcazioni di salvataggio con pesante carico, a pericoli di navigazione e eventuali rischi sanitari.
Per questo dopo solo settantacinque minuti i rappresentanti delle Ong e Mario Morcone, capo di gabinetto del ministro dell’interno, hanno lasciato il tavolo di discussione.

I pochi punti condivisi
Il Comandante Gunter Kortel dell’organizzazione tedesca Sea-Eye: «Siamo d’accordo con gran parte del Codice, come l’impegno a non cooperare con i trafficanti o il dovere di cooperare con le autorità. Ma altre parti sono difficili da mettere in pratica in mare, come gli ostacoli tecnici che renderebbero impossibile il salvataggio».
Mentre il fondatore di Sea-Eye Michael Buschheuer mette un paletto di principio: «nessun codice di condotta può limitare il dovere di soccorso in mare. Non ci sarà impedito di adempiere il nostro dovere umanitario e di continuare a salvare le persone in pericolo e a rischio di annegare».

L’obbligo del soccorso in mare
Per questo i tecnici del Ministero dell’Interno hanno dovuto limare la bozza iniziale del Codice, le implicazioni di carattere giuridico che andavano in contrasto con il Diritto marittimo erano molte. Alla fine è stato consegnato alle Ong un testo nel quale molti punti risultano ampiamente rispettati.
Ad esempio agire sotto il coordinamento della Guardia Costiera, cosa che avviene di norma, o la trasparenza dei bilanci.
Altri invece gli aspetti più controversi. Esempio, il divieto di entrare in acque libiche se non in caso di grave ed imminente pericolo. Come escludere questi casi quando si avvista un gommone in avaria, chi misura il pericolo di vita? Si chiede alle Ong di non accendere luci o fare segnalazioni e di non spegnere il trasponder. Replica, se il soccorso avviene di notte come si fa per farsi individuare? Trasponder, spesso questione di satellite.

Fact checking, controlli e ritardi
La verifica dell’idoneità alla navigazione dei mezzi e dell’equipaggio, potrà comportare lunghi fermi nei porti e rallentare le operazioni di soccorso e lasciare sguarniti interi tratti di mare, denuncia il professor Fulvio Vassallo Paleologo dell’università di Palermo, intervistato da Radio Radicale. Tra le regole c’è anche quella di avvertire la Guardia Costiera più vicina. La Guardia Costiera libica sotto inchiesta per reati umanitari da parte della Corte Penale Internazionale. Altro aspetto controverso e di difficile soluzione, la richiesta di distruggere le imbarcazioni dei migranti una volta salvati. Operazioni erano già a carico delle missioni Triton di Frontex e di quella europea Sophia, solo che queste navi si sono progressivamente ritirate dalle zone di Search and Rescue.

Tags: migranti ong
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