
La Grande moschea di al-Nuri come la Cancelleria del führer a Berlino: la sua conquista sancisce praticamente la fine della sanguinosa battaglia di Mosul, durata mesi e mesi. Le truppe irachene e le milizie curde, assistite da consiglieri americani, sono entrate nel recinto del grande edificio, devastato dalle milizie dell’Isis in ritirata. L’estrema resistenza degli uomini del Califfo si è concentrata ormai in un perimetro di alcuni isolati, un’area non più vasta di un chilometro quadrato. Gli “sniper” (cecchini) islamici, però, mettono a rischio l’avanzata delle truppe della coalizione.
Dietro ogni cumulo di rovine, negli anfratti degli edifici ormai sventrati, nelle buche di un terreno martoriato dalle bombe, si celano ancora poche decine di disperati jihadisti pronti a vendere cara la pelle. Secondo l’inviato di guerra della britannica BBC, Feras Kilani, la moschea “non è ancora stata messa in sicurezza” e i colpi dei cecchini e le bombe di mortaio continuano a piovere sul martoriato complesso. Certo, la conquista di al-Nuri ha un valore simbolico elevatissimo per il morale delle truppe della coalizione e, di converso deprimente, per quello, sotto i tacchi, dei miliziani islamici.
L’ormai pressoché definita caduta di Mosul è il primo tempo di un film che si concluderà solo con la presa di Raqqa, la città considerata capitale del Califfato. La presa di Mosul però, ha richiesto uno sforzo sovrumano. Quella che può essere considerata la Stalingrado di Abu Bakr al-Baghdadi, ha resistito strenuamente fin dal mese di ottobre. Governativi iracheni e milizie curde si sono trovati davanti un muro di fuoco e, dopo avere conquistato la parte est della città in gennaio, si sono dovuti fermare, combattendo casa per casa e vicolo per vicolo. Il grosso problema che resta da risolvere è quello della salvaguardia dei circa 50 mila civili in trappola, asserragliati nella città vecchia assieme ai superstiti miliziani dell’Isis, che in pratica li stanno utilizzando come scudi umani.
Ma quella che secondo il governo di Baghdad deve essere considerata come “l’ultima battaglia per Mosul” è praticamente quasi all’epilogo. Gli ultimi feroci combattenti del Califfo sono praticamente asserragliati dietro ogni cumulo di calcinacci e sparano a tutto quello che si muove, cercando chiaramente una morte gloriosa, cioè quel martirio che secondo il loro credo li porterà nel paradiso di Allah. Probabilmente dello stesso parere non sono i civili costretti a nascondersi come topi nei cantinati, nell’attesa che avvenga la sospirata liberazione. E nella speranza che l’esito finale della battaglia non si riveli un massacro.