
‘Golpe dinastico’ per cercare di riformare il regno più ricco e arretrato del mondo?
Decreto di Re Salman, e il figlio Mohammed, 31 anni, è nuovo principe ereditario. Terremoto in un Paese guidato da decenni guidato da una generazione di ultrasettantenni. Lo scorso anno il re, che ha 82 anni, aveva sancito il passaggio alla seconda generazione degli Al Saud, scegliendo come erede al trono Mohammed Bin Nayef, 57 anni. Ora Bin Nayef, per anni l’alleato numero uno dell’Occidente, è messo da parte per far spazio al più giovane e ambizioso cugino.
Il giovane Mohammed bin Salman è stato nominato anche vicepremier con le funzioni di ministro della Difesa, consigliere speciale del re e presidente del Consiglio degli affari economici e dello sviluppo, organismo che guida la compagnia petrolifera Aramco, prima al mondo.
La sua nomina come erede al trono è stata confermata da 31 dei 34 membri del Consiglio di fedeltà, secondo la televisione di stato El Ikhbariya. Questa istituzione ha il compito di designare il principe ereditario a maggioranza. È stato creato in seguito a una riforma nel 2006.
Terremoto con scosse da definire
Ribaltato i rapporti di vertice del regno dell’Arabia Saudita. Re Salman bin Abdulaziz ibn Saud ha rotto la prassi di una successione da fratello e fratello, tutti figli del fondatore del regno, trasmissione del potere orizzontale e di età avanzata, per passare a una dinastia ‘verticale’, di padre in figlio. Salto generazionale di portata politica.
Pur essendo ancora in vita due suoi fratelli, il più anziano dei quali, Muqrin, era il successore designato al trono, Salman ha eliminato dalla linea di successione un centinaio di figli dei suoi quattro fratelli re e degli altre decine di fratelli mai arrivati al trono e defunti.
La decisione di tagliare l’ intrico dinastico a favore dei Mohammad è soltanto l’ultimo atto di una successione di interventi poco rilevati in casa occidentale ma di enorme importanza. Ad esempio, le dimissioni forzate del ministro degli esteri Saud al Feisal, in carica dal 1975, da ben 40 anni. Nuovo ministro degli esteri saudita Adel al Juber, un tecnico, non appartenente alla casa regnante, già ambasciatore a Washington.
Problemi da affrontare molti, primo ed immediato, quello dello Yemen, dove l’Arabia saudita, che non riesce a vincere nonostante l’enorme disparità di forze a suo vantaggio, rischiava addirittura di subire clamorose sconfitte. Milizie Houti filo iraniane pronte ad invadere le regioni meridionali del regno, salvato soltanto dall’intervento degli alleati pakistane le cui forze armate sono una cosa seria.
La cosiddetta ‘Nato araba’ in panne già dal suo primo avvio, giudicano gli specialisti. Problemi sauditi ma non soltanto. Anche l’alleato esercito egiziano è scarsamente operativo. Una rapida riforma delle Forze Armate saudite compito principale del nuovo secondo erede al trono.
Sullo sfondo, questione spesso evitata o timidamente posta, l’atteggiamento del regno nei confronti del radicalismo islamico sostenuto da sempre dall’ortodossia wahabita del regno. L’ideologia salafita che ispira sia al Qaida che l’Isis.
Dall’Arabia Saudita sono sempre arrivati e continuano ad arrivare finanziamenti privati all’Isis da parte di settori religiosi salafiti che controllano le Fondazioni islamiche che ricevono la zakat, l’autotassazione coranica, quinto precetto dell’Islam che agiscono autonomamente, spesso per contrastare una dinastia regnante a Ryad compromessa nell’alleanza con l’Occidente.
Aiuti che hanno favorito, e molto, il cammino di abu Bakr al Baghdadi.