Il comunismo di Johan Cruyff e la trappola del fuorigioco

Che ci fa Johan Cruyff in un libro della collana “180, archivio critico della salute mentale” (edizioni alphabeta Verlag)? Cruyff, il fuoriclasse olandese che fu interprete straordinario del calcio totale… quello stile di gioco per cui nessun giocatore è ancorato a un ruolo rigido, e chiunque può, nel corso della partita, essere attaccante, centrocampista, difensore. Insomma, un luogo dove il collettivo è tutto.
Il “comunismo di Johan Cruyff”… l’ho capito alla fine anch’io, che di calcio so poco e niente, catturata da “La trappola del fuorigioco”, di Carlo Miccio.
Bel racconto, lucido e dolente, come capita lo sia la vita, emozionante ed esplosivo, come una partita di calcio, con le sue mosse, in attacco, in difesa, i minuti dalla fine quando ogni pallone è quello possibile del disastro…
Bel racconto, che ti prende per mano e ti accompagna attraverso il tempo dell’Italia degli ultimi cinquant’anni, insieme al protagonista- narratore, Marcello, che fin da piccolo la realtà la decifra tutta solo attraverso il gioco del calcio. Sarà la “rivoluzione del calcio totale” ad aiutarlo a capire il significato della parola comunismo e delle paure del padre, una diagnosi di Depressione Bipolare Schizoaffettiva e l’incubo dell’avanzata elettorale del PCI di Berlinguer. Perché tutto inizia nel 1975…

Narrando una condizione che ben conosce, Miccio “ci accompagna attraverso le dinamiche di una famiglia dove si annida ed esplode il disagio mentale”.
Ma è storia che riguarda anche tutti noi.
Si inizia e non ci si stacca più dagli occhi di Marcello ragazzino che quella prima notte da solo, in viaggio con il padre, lo guarda nella penombra.
“Era fragile, terrorizzato e vulnerabile. La faccia di un condannato a morte che non trova più soddisfazione a urlare il proprio tormento. Pensai che avrei dovuto strapparlo via dal suo incubo, evitargli tutta quella sofferenza gratuita, ma non avevo il coraggio di svegliarlo. Rimasi invece a guardarlo cercando d’immaginare da dove venisse tutta quella pena”.

Immagine incancellabile e commovente, come una Pietà antica, dove senza sfiorarlo pure il ragazzino accoglie e culla nel suo sguardo attento questo padre, nei momenti bui ossessionato dal demonio e dai comunisti, che invoca su tutti i nemici la spada gloriosa di san Michele Arcangelo…
La sindrome bipolare… tutta una vita in altalena, fra euforia e depressione, luce e buio che nel proprio turbine tutto può travolgere intorno a sé.
E insegna, questo racconto, anche la forza della tenerezza… che può diventare persino l’assurda idea che drogarsi potesse essere un modo per riuscire a capire cosa passava nella mente del padre quando stava male. Entrare in quella zona buia del suo cervello…
“Magari, mi dicevo, con la comprensione si poteva anche guarire un giorno. Come san Girolamo con il leone. Che ruggiva per il dolore della spina nella zampa e non perché era cattivo”.

E scivolano gli anni… i santuari dell’Italia dei miracoli, la 180, la nascita dei centri di salute mentale, il dibattito sull’elettroshock, il famoso rigore di seconda di Cruyff, gli anni degli acidi e dell’eroina, tanti aghi in vena… le telecronache di Martellini e degli altri… e la palla calciata da Cabrini che “invece di andare in rete rotolò mestamente a lato, innocua come un coriandolo di carnevale”. E quella partita della Fiorentina dove “accadde tutto nel recupero, a tempo ormai scaduto”. “Mio padre iniziò a piangere…”.
Una partita lunga una vita. Viene da pensare, con tutte le differenze del caso, a “Il rigore più lungo del mondo” di Osvaldo Soriano, che così bene parlando di calcio ha pure parlato di tante altre cose del mondo, con la storia di quel rigore sospeso, che per un tempo infinito sembra mettere davanti alla possibilità di sbagliare…

Ma anche quel padre malato, qualche bel tiro lo mette a segno. Una delle pagine più belle racconta un momento di euforia in cui la sua fantasia riesce a partorire, e realizzare, un vero campo di calcio costruito dal nulla. Un campetto che per tre anni è stato un’idea di aggregazione sociale cui nessuna programmazione urbanistica aveva pensato. Peccato che poi un giorno una bestemmia pronunciata da qualcuno, nell’eccitazione di una partita, provoca la reazione del parroco che tutto smantella. Ma “comunismo evangelico e campi da calcio, anche questo è stato mio padre”.
E poi sono venuti gli anni di Berlusconi, che quell’antica paura del comunismo ha saputo così ben piegare al suo disegno…
Così si approda all’oggi, che padre e figlio vivono insieme. L’uno in qualche modo ad accudire l’altro, a difendersi dalla solitudine e dalle assurdità della società che abbiamo infine costruito.

Così… “ho nostalgia del comunismo di Johan Cruyff. Di una società dove il collettivo è tutto, ci si scambia di ruolo e ci si muove compatti a centrocampo tutti insieme. Il comunismo del calcio totale, ma anche quello dei tarantolati del Salento, dove l’intera comunità è consapevole che la malattia di uno è la malattia di tutti, e la follia psicotica viene affrontata ballando e cantando insieme, e sconfiggendo il male con la musica, invece che con gli elettroshock”.
E viene anche a noi nostalgia di quel comunismo là, nato da un sogno che pure è stato collettivo.
Ma la Storia ha preso un’altra strada. Guardandoci intorno, trovando l’esattamente contrario… “una società dove nessuno ti offre un lavoro che non sia in nero, ma poi fanno finta di regalarti i soldi con i ‘gratta e vinci’ e con i superenalotto. O con quei cazzo di quiz in televisione, ad esempio”.
La trappola del fuorigioco… Leggete, narra davvero tanto di tutti noi…

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