Siria, lo zampino di Putin-Trump sul tentativo ‘zone sicure’

Il lavoro duro, la faticosissima mediazione, l’hanno fatto Russia, Turchia e Iran, battagliando tra di loro e battagliando con tutti i frammenti possibili di islamismo anti Assad e di sciismo e di sunnismo e di interessi strategico petroliferi possibili. Peggio della quadratura del cerchio. Ma nell’accordo firmato ad Astana, capitale del Kazakhstan, nasce anche dalla telefonata della sera prima tra il leader russo e il capo della Casa Bianca. Ovviamente segreto sulla conversazione, salvo il far filtrare parte del merito di quell’accordo che con l’indiretto placet Usa acquisisce peso e possibilità di successo. Formalmente gli Stati Uniti ad Astana c’erano come semplici osservatori. Ospiti di cortesia.

Cosa dovrebbe accadere in Siria
Quattro aree demilitarizzate in cui verrà garantito il rispetto del cessate il fuoco e il divieto di sorvolo e consentendo così l’arrivo di aiuti umanitari alle popolazioni locali e il rientro dei primi profughi fuggiti all’estero. Le aree in questione si trovano nella provincia nord-occidentale di Idlib, nella provincia occidentale di Homs, nell’enclave ribelle di East Ghouta nei pressi di Damasco e nelle alture del Golan. Meccanismo a incastri  complesso, che appare al momento come l’unico strumento in grado di fermare gli scontri tra milizie ribelli ed esercito di Damasco. Ottenuto questo risultato ad Astana dovrebbero riprendere a Ginevra i colloqui ONU.

Gli ostacoli e i problemi
I nodi da sciogliere, tanti. La provenienza dei ‘peacekeepers’, ad esempio, che dovranno monitorare il rispetto dell’accordo sulle zone sicure. Chi si fida di chi e chi è arbitro veramente neutrale?Alla fine si dovrebbe optare per una formazione mista, con il contributo congiunto di truppe statunitensi, turche, russe e probabilmente anche iraniane dove i vigilantes della pace controllano soprattutto gli altri vigilanti. Look Out propone persino una mappa di aree e del ‘tutore’ previsto. Russia a ovest lungo la costa; Turchia a nord-ovest; Stati Uniti a nord-est; Iran a sud-ovest al confine con il Libano nei territori presidiati dagli alleati libanesi di Hezbollah. Quasi il disegno di una frammentazione della Siria in nuove entità governative autonome, con il governo di Bashar Assad sotto un protettorato di Mosca.

Il fronte dei ribelli e la Turchia
Ma i ribelli? La delegazione delle opposizioni ha rifiutato di firmare il memorandum chiedendo il ritiro delle truppe iraniane dai territori occupati dai ribelli. Sarà la Turchia a dover spingere il fronte anti-Assad ad accettare il piano di Sochi. Erdogan è legato da un accordo personale raggiunto con Putin, ma a lungo andare potrebbe pretendere di più. La tentazione di sconfinare verso est nei territori controllati dalle milizie delle Syrian Democratic Forces, il cui nucleo forte è quello curdo del YPG, l’Unità di Protezione del Popolo, che Ankara considera organizzazione terroristica assieme al PKK. Rischio di scontro aperto tra turchi e curdi, evitato finora grazie anche alla presenza Usa con forze speciali in vista della battaglia decisiva per la presa di Raqqa, capitale siriana dello Stato Islamico.

Perché serviva il placet Usa
Milizie curde e fronte dei ribelli, la due variabili su cui Mosca non ha un controllo diretto. Ed ecco dove esce fuori Trump, assieme ad Erdogan. Quei 59 missili Usa contro Assad dopo l’uso di gas nella zona di Idlib sono stati la ‘rentrée’ Usa sulla scena siriana. In realtà l’amministrazione Trump, ha fatto atterrare nuove forze speciali nel nord-est della Siria, ponendosi di fatto come argine a uno scontro aperto tra esercito turco e milizie curde. In parallelo, ha continuato a confrontarsi con Mosca fino ad arrivare a sedersi al tavolo che conta delle trattative ad Astana. E in Kazakhstan è arrivato l’assistente del segretario di Stato per il Medio Oriente Stuart Jones.

Tags: Siria
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