Il mondo letto dal Papa in Egitto: ‘pericolo di guerra’

«Cerchiamo soluzioni diplomatiche altrimenti buona parte dell’umanità sarà annientata». Papa Francesco non gira attorno ai problemi e non usa parole al miele. Al Cairo ha invocato una «alleanza» delle fedi mai così urgente, la responsabilità comune per la pace nel pianeta. «L’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità», diceva nella messa di congedo.
E Francesco, nel volo che lo riporta a Roma, torna a evocare la terza guerra mondiale a pezzi e parla della crisi intorno alla Corea del Nord, del pericolo di una «guerra allargata» che annienterebbe «buona parte» dell’umanità, «fermiamoci, cerchiamo soluzioni diplomatiche».
Come sempre, Francesco raggiunge i giornalisti in fondo l’aereo, e risponde a tutte le domande. A cominciare dal caso Regeni che sembra prevalere nell’interesse della stampa al seguito.

Nell’incontro con il presidente egiziano Al Sisi avete parlato di diritti umani e del caso di Giulio Regeni? Secondo lei, si arriverà alla verità?
«Su questo darò una risposta generale per arrivare al particolare. Quando sono con un capo di Stato in dialogo privato, rimane privato, a meno che non si sia d’accordo di rendere pubblico un punto. In Egitto ho avuto quattro dialoghi privati, con Al Sisi, il grande imam di Al Azhar, i patriarchi. E se è privato, credo che per rispetto si debba mantenere la riservatezza. Su Regeni io sono preoccupato. Dalla Santa Sede mi sono mosso su quel tema, perché anche i genitori me lo hanno chiesto. La Santa Sede si è mossa. Non dirò come, ma ci siamo mossi».

Ha parlato del pericolo di azioni unilaterali e della terza guerra mondiale a pezzi. E oggi c’è paura di quello che sta succedendo intorno alla Corea del Nord…
«È il punto di concentramento…».

Trump ha mandato navi militari, il leader nordcoreano minaccia la Corea del Sud, il Giappone, gli Usa…Si parla di una guerra nucleare come niente fosse. Se vedesse Trump o altri leader che direbbe loro?
«Io li richiamo e li richiamerò, come ho fatto con i leader di diversi paesi, al lavoro di risolvere i problemi seguendo la strada della diplomazia. Ci sono i facilitatori, tanti mediatori nel mondo, paesi come la Norvegia, ad esempio. La via è quella del negoziato, la soluzione diplomatica. La guerra mondiale a pezzi di cui parlo da due anni è sì a pezzi, ma ora i pezzi si sono allargati e concentrati in punti che già erano caldi.
Dei missili coreani si parla da un anno, ma adesso sembra che la cosa si sia scaldata troppo….Io chiamo sempre a risolvere i problemi sulla strada diplomatica perché è il futuro dell’umanità. Oggi una guerra allargata distruggerebbe non dico metà ma una buona parte della umanità, sarebbe terribile. Guardiamo a quei paesi che stanno soffrendo una guerra interna, in Medio Oriente, Africa, Yemen. Fermiamoci. Cerchiamo una soluzione diplomatica. E lì credo che le Nazioni Unite abbiano il dovere di riprendere la loro leadership. perché si è un po’ annacquata».

Incontrerà il presidente Trump? C’è stata una richiesta del presidente?
«La Segreteria di Stato non mi ha ancora informato di una richiesta. Ma io ricevo ogni Capo di Stato che lo chiede».

Dobbiamo interpretare le parole che ha detto in Egitto su pace, prosperità, sviluppo e diritti inalienabili come un supporto al governo egiziano?
«Si devono interpretare letteralmente. Io ho parlato di valori, la pace, l’armonia tra i popoli, l’uguaglianza dei cittadini qualche che sia la loro religione, questi sono valori. Se un governante difende l’uno o l’altro, questo è un altro problema.
Io ho fatto 18 viaggi. In molti paesi ho sentito “ma il Papa è andato là per quel governo…”. Sempre un governo ha le sue debolezze, i suoi avversari politici. Io non mi immischio, io parlo dei valori. Ognuno poi veda se questo o quel governo o Stato porta avanti quei valori.

Ha parlato di populismi demagogici. In Francia i cattolici sono tentati dal populismo estremo, divisi e disorientati. Quali elementi di discernimento potrebbe dare?
«Questa parola populismo, ho dovuto reimpararla in Europa perché in America latina ha un altro significato. C’è un problema dell’Europa e della Ue. Ciò che ho detto sull’Europa non lo ripeterò qui, ne ho parlato più volte. Ogni paese è libero di fare le scelte che crede convenienti. Io non posso giudicare se la scelta la fa per questo o quel motivo, non conosco la politica interna. È vero che l’Europa è in pericolo di sciogliersi, dobbiamo meditare su questo.
C’è un problema che spaventa e forse alimenta questi fenomeni, l’immigrazione. Ma non dimentichiamo che l’Europa è stata fatta dai migranti, secoli e secoli di migranti: siamo noi. È un problema che si deve studiare bene, e anche rispettare le opinioni, ma le opinioni oneste, con una discussione politica grande, con la grande politica, non con la politica piccola…».

Sulla Francia in particolare?
«Dico la verità, non capisco la politica francese. Ho cercato di avere buoni rapporti anche con il presidente attuale, con il quale una volta c’è stato un conflitto, ma poi ho potuto parlare con lui chiaramente, rispettando la sua opinione. Dei due candidati politici non so la storia, non so da dove vengano. So che una è rappresentante della destra forte, ma l’altro davvero non so. Non posso dare una opinione chiara sulla Francia. Parlando dei cattolici, in un raduno, un signore mi ha detto: perché non pensa alla grande politica? Intendeva fare un partito per i cattolici! Un signore buono, ma vive nel secolo scorso».

In Venezuela la situazione sta peggiorando. Che cosa si può fare? Il Vaticano può mediare?
«C’è stato un intervento della Santa Sede su richiesta dei quattro presidenti che stavano lavorando come facilitatori, ma la cosa non ha avuto esito perché le proposte non sono state accettate o venivano diluite. Tutti sappiamo quanto sia difficile la situazione in Venezuela, un paese che amo molto. So che ora stanno insistendo, non so bene da dove, credo ancora da parte quattro presidenti, per rilanciare questa facilitazione e stano cercando il luogo. Ci sono già opposizioni chiare, la stessa opposizione è divisa e il conflitto si acutizza ogni giorno di più. Siamo in movimento. Tutto quello che si può fare, bisogna farlo, con le necessarie garanzie».

Sul tema dei rifugiati ha parlato di «campi di concentramento». È stato un lapsus?
«Ho parlato dei Paesi più generosi dell’Europa, citando Italia e Grecia. Ho sempre ammirato la capacità di integrazione dei tedeschi. No, non è stato un lapsus. Ci sono campi di rifugiati che sono veri campi di concentramento. Qualcuno forse c’è in Italia, qualcuno forse in altre parti. Lei pensi che cosa fa la gente quando è rinchiusa in un campo senza poter uscire. Pensi che cos’è successo in Nord Europa quando i migranti volevano attraversare il mare per andare in Inghilterra e sono stati chiusi dentro.
Mi ha fatto ridere una cosa, un po’ la cultura italiana: in Sicilia, in un piccolo paese, c’è un campo rifugiati. I capi di quel paesi hanno parlato ai migranti e hanno detto loro: “Stare qui dentro farà male alla vostra salute mentale, dovete uscire, ma per favore non fate cose brutte!. Noi non possiamo aprire i cancelli, ma facciamo un buco dietro, voi fate una passeggiata in paese…ˮ. E così si sono costruiti buoni rapporti con gli abitanti di quel paesino: i migranti non fanno atti di delinquenza o criminalità. Ma stare chiusi senza fare niente è un lager».

Quali sono le prospettive dei rapporti con gli ortodossi, in particolare i russi? E come valuta la Russia anche a luce della difesa dei cristiani in Siria e in Medio Oriente?
«Con gli ortodossi ho sempre avuto una grande amicizia, dai tempi di Buenos Aires. Al Cairo abbiamo avuto un incontro ecumenico. L’ecumenismo si fa camminando insieme: pregare, fare opere di carità, ma insieme. La questione del battesimo tra noi e i copti è una colpa storica, nei primi secoli il battesimo era lo stesso.
Il problema è cominciata con noi, non con loro. Ora si è aperta la porta per superarlo, l’ultimo paragrafo della dichiarazione comune parla di questo. Quanto alla Russia, so che lo Stato parla della difesa dei diritti dei cristiani, e credo sia una cosa buona. Oggi ci sono più martiri dei primi secoli, in Medio Oriente soprattutto».

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