La rissa che serve a Erdogan per vincere il referendum

Giovedì in Turchia una voto decisivo per il futuro del Paese e della democrazia in quella terra di mezzo tra Europa e Asia. Una democrazia autoritaria, molto autoritaria, quella di oggi. Repubblica parlamentare, Erdogan presidente, con le leggi speciali e la raffica di arresti del dopo mancato golpe. Democrazia oggettivamente in bilico. Domani forse, una «Demokratura», la forma della democrazia elettorale nella sostanza della dittatura, dell’imperio personale che il Rais Erdogan ha disegnato in un progetto di costituzione creato a sua immagine e somiglianza.

Ma è tutta l’Europa che è in campagna elettorale. Domani si vota in Olanda e l’estrema destra di Wilders cavalca la xenofobia promettendo di «bandire il Corano». La Francia è in campagna elettorale e il Front national rinfocola l’odio anche dopo la tragica stagione di attentati, con un programma nazionalista in primo luogo anti-islamico. Ci sono le elezioni in Germania e la destra nazionalista che cerca di insidiare Angela Merkel, è comunque anti-islamica. Ed ecco che dietro le proibizioni ai comizi di Ankara emergono calcoli elettorali incrociati.

Prima mossa, quella turca. La furberia politica dello scafato islamista di mille battaglie. Erdogan a provocare con veleno mirato, una botta di ‘nazista’ di qua, una di fascista di là, e le convenienze contrapposte in Europa a dargli corda. In Turchia il No alla riforma costituzionale risulta vincente alla vigilia? Quel No potrebbe far precipitare tutto, è la valutazione diffusa. Ed ecco che una bella fiammata di orgoglio nazionale, condita con un po’ di utile antieuropeismo, diventa manna elettorale per l’uomo forte di Ankara che accortamente li attizza.

Da mesi, messaggi elettorali netti sull’esaltazione dell’identità nazionale. Soprattutto in chiave anti curda. Dopo il fallito golpe del 15 luglio e la tiepida solidarietà attribuita dall’astioso Erdogan a Bruxelles, anche l’Ue nel mirino. A coltivare sentimenti anti occidentali e anti europei largamente diffusi. Dichiarazioni fuori misura che Erdogan fa finta di farsi scappare, a riaccendere asti antichi e identità frustrate. Messaggio al popolo turco in questi giorni di vigilia elettorale? Il sì al referendum per una Turchia più stabile, forte e rispettata è lo slogan per vincere.

Giovedì di vota e poi vedremo. Mossa di Ergogan da mettere in conto, sia lui Super Presidente dalla arroganza incontenibile, sia semplice Presidente segnato dal livore assoluto per la sconfitta della vita, la crisi dell’accordo sui migranti. Ankara continua a battere cassa per avere il denaro pattuito litigando sulle scadenze, assieme alla richiesta che vengano liberalizzati i visti Ue per i cittadini turchi, nonostante non abbia cambiato nemmeno di una virgola la legge antiterrorismo, che era una delle condizioni poste da Bruxelles. I soldi arriveranno, i visti no.

Geopolitica europea in chiave turca. Germania e Olanda hanno in casa un milione e 240mila turchi. Alle elezioni politiche del novembre 2015, in questi Paesi, l’Akp, il partito di Erdogan, aveva preso il 60 per cento di consensi. Un punto di forza su cui Erdogan e i suoi ministri contavano. Ora senza comizi ma con il vantaggio di rabbia e indignazione sapientemente coltivate. Migliaia di turchi che rischiano di sentirsi rigettati da un’Europa che sul piano dell’integrazione ha giganteschi problemi anche a causa dell’accordo sui migranti proprio con la Turchia.

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