
I ‘millennial’
Alcuni dati dal mondo a stravolgere alcune certezza datate. Esempio, alle elezioni del 2015, in Svizzera, due terzi dei giovani nati tra gli anni ottanta i duemila, i cosiddetti ‘millennial’, sono rimasti a casa, come quattro quinti di quelli statunitensi alle elezioni per il Congresso del 2014. L’affluenza al voto è calata in tutto il mondo ricco, ma tra i giovani questo fenomeno è più veloce.
Tendenze demografiche
Alle elezioni statunitensi del 1972, le prime in cui votarono i diciottenni, circa un quinto degli adulti aveva meno di venticinque anni. Nel 2010 gli adulti sotto i 25 anni erano uno su otto. In base a questa tendenza, entro la metà del secolo questa fascia d’età si ridurrà a un decimo della popolazione statunitense adulta. E il blocco elettorale dei giovani, da centrale che era, passerà a una posizione marginale.
Cambiamento permanente?
Secondo Michael Bruter della London school of economics, le abitudini elettorali si formano prestissimo, durante le prime due elezioni in cui una persona può votare. Se le generazioni future, scoraggiate dalla loro debole influenza, non adotteranno l’abitudine al voto, l’astensione aumenterà sempre di più, indebolendo la legittimità dei governi eletti. Anche se i ‘millennial’ non sono la prima generazione di giovani accusati di sottrarsi al loro dovere civico.
Sociali ma non politici
Eppure i giovani, scopre Economist, sono interessati ai grandi temi più di quanto si pensi. Sono più istruiti delle generazioni precedenti, più inclini ad andare a una manifestazione o a diventare vegetariani -un esempio- e meno appassionati di droghe e alcol. Ma hanno perso molte delle abitudini che portavano i loro genitori a votare. I millennial non considerano i partiti come movimenti degni di fiducia, ma come marchi da scegliere o ignorare
Cambiamenti di fatto
Nel Regno Unito, su cinque persone sotto i 25 anni solo tre guardano i notiziari tv rispetto a nove persone su dieci sopra i 55. I giovani sono anche meno inclini a leggere giornali o ascoltare notiziari radioi. Ogni anno circa un terzo dei diciannovenni britannici cambia casa. Negli Stati Uniti le persone tra i 18 e i 30 anni traslocano mediamente quattro volte. Chi ha figli e possiede una casa è più legato alla comunità e attento al modo in cui è amministrata. Ma i giovani oggi si sistemano più tardi dei loro genitori.
Cambia atteggiamento
Secondo la Manchester university, i ‘millennial’ non considerano il voto come un dovere e, di conseguenza, non si sentono moralmente obbligati a votare. Un sistema che gli chiede di votare per un pacchetto di promesse elettorali “tutto o niente” è ritenuto poco allettante. Benché il numero dei giovani americani che sposano le classiche cause liberal sia in aumento, solo un quarto delle persone tra i 18 e i 30 anni si definisce ‘democratica’. Secondo altre ricerche, la metà sostiene di essere indipendente, affermazione condivisa solo da un terzo delle persone sopra i 69 anni.
Non mi convinci
I millennial sono anche il gruppo meno propenso a lasciarsi influenzare dalle promesse politiche. Credono che gli altri dicano la verità molto meno della generazione del baby-boom (i nati tra il 1946 e la metà degli anni sessanta) o della generazione X (i nati tra la metà degli anni sessanta e la fine dei settanta). Considerano la “spontaneità” un segno di virtù e affidabilità, come dimostra per esempio il loro entusiasmo verso il telegenico premier canadese Justin Trudeau. Ma, in assenza di leader personalmente accattivanti, la sfiducia sfuma nel cinismo nei confronti della democrazia.
Comunicazione politica
Quasi un quarto di giovani australiani ha recentemente sostenuto che ‘non ha importanza che tipo di governo abbiamo’. Il 72 per cento degli statunitensi nati prima della seconda guerra mondiale giudicava ‘essenziale’ vivere in un paese democratico. Meno di un terzo dei nati negli anni ottanta era d’accordo. Mancanza di fiducia e interruzione della comunicazione. Nel 1967 un quarto degli elettori americani aveva avuto qualche forma di contatto con esponenti politici. Nel 2004, per gli anziani questa percentuale era quasi raddoppiata, mentre per i giovani era rimasta al 23 per cento.
I partiti inseguono
Negli Stati Uniti i partiti nel 2012 hanno raggiunto tre quinti degli elettori più anziani, ma solo il 15 per cento dei più giovani. Secondo un sondaggio alcune settimane prima delle elezioni presidenziali che hanno poi visto la vittoria di Trump, nonostante che nella politica statunitense il denaro scorreva a fiumi, solo il 30 per cento dei millennial riferiva di essere stato raggiunto da una delle campagne. E, quando i partiti raggiungono i giovani, spesso lo fanno con un messaggio creato per gli elettori in generale, non su misura per loro.
Astensione di protesta
Molti giovani disillusi considerano l’astensione un modo per esprimere l’insoddisfazione nei confronti dell’offerta politica. Ma il rifiuto del voto li intrappola in un ciclo di abbandono. I politici sanno che i più anziani hanno maggiore propensione al voto e modellano le loro politiche a ciò. I giovani, vedendo un sistema che gli offre poco, tendono ancora di più a tenersi fuori, dando ai partiti una ragione in più per ignorarli. Nei Paesi Bassi, ’50Plus’, partito che si occupa quasi esclusivamente degli interessi dei pensionati, nei sondaggi è dato a percentuali con due cifre.
Chi perde paga
Anche i partiti che non si rivolgono esclusivamente agli anziani tendono a favorirli sempre più quando definiscono le loro politiche. I giovani lavoratori pagano le tasse per sistemi sanitari e previdenziali che, probabilmente, quando loro andranno in pensione non saranno altrettanto generosi. In Australia chi ha più di 65 anni non paga tasse fino a un reddito di 32.279 dollari australiani mentre i giovani lavoratori pagano le tasse a partire dai 20.542 dollari australiani.
Privilegi adulti
Nel Regno Unito le tessere gratuite per gli autobus, gli abbonamenti alla televisione e i sussidi per l’energia per i pensionati sono sopravvissuti ai tagli governativi; l’assistenza abitativa per i giovani no. In tutta l’Europa occidentale, i giovani esprimono in misura maggiore un’opinione favorevole sull’Unione europea, ma sono gli anziani, più scettici nei suoi confronti, a pesare sui governi. Il recente voto britannico a favore dell’uscita dall’Unione europea è dipeso in gran parte dal voto dei pensionati. La schiacciante maggioranza dei giovani ha votato per rimanere.
Obbligatorietà del voto
Ipotesi obbligatorietà de voto, come in Australia, in Belgio, in Brasile e in molti altri paesi. Barack Obama aveva definito l’ipotesi “trasformativa” per l’America, perché avrebbe rafforzerebbe la voce dei giovani e dei poveri. Secondo alcuni studiosi, il voto obbligatorio aumenterebbe solo l’affluenza senza affrontare le cause sottostanti. La priorità dovrebbe essere quella di ispirare tra i giovani la sensazione che ‘il sistema tascolta ed è reattivo nei tuoi confronti’, cosa che a sua volta rafforzerebbe l’impegno politico. E uno dei luoghi in cui creare tale convinzione è la scuola.
Età del voto
Altra opzione, quella di abbassare ulteriormente l’età del diritto di voto. In molti paesi, le abitudini elettorali si formano in un periodo particolarmente instabile della vita dei giovani: i pochi anni successivi alla fine della scuola. In Argentina e in Austria si sta cercando di anticipare la formazione delle abitudini elettorali abbassando l’età minima a 16 anni. In tal modo, i giovani esprimono il loro primo voto mentre vanno ancora a scuola e vivono con i genitori. In Austria, unico paese europeo dove possono votare a 16 e 17 anni, si sono dimostrati più propensi al voto di chi ha tra i 18 e i 20 anni.
Le figure elettorali vincenti
Conclusione di questo lungo percorso di Economist riportato da Internazionale, è una sostanziale superficialità nella decisione di partecipazione al voto e nella scelta nell’urna. ‘Poiché i millennial sono sempre meno motivati al voto, un’eventuale inversione di tendenza appare pericolosamente legata a singoli politici e a singole questioni’, commenta impaurito l’Economist. Esempio? In Canada solo il 37 per cento delle persone tra i 18 e i 24 anni ha votato alle elezioni parlamentari del 2008, e il 39 per cento nel 2011. Nel 2015, “effetto Trudeau” ha fatto salire bruscamente il voto giovanile al 57 per cento.
La storia di Alex Orlyuk
Storia emblematica. Alex, giovane israeliano, non sembrava certo destinato all’apatia politica. È nato in Unione Sovietica in una famiglia segnata dalla shoah. Da quando lui aveva sei anni, si è trasferita a Tel Aviv. Orlyuk segue la politica e apprezza la democrazia ma nelle ultime quattro elezioni politiche non ha votato. Alex afferma che la sua astensione è “una dichiarazione politica” sullo stato pietoso della politica di Israele. Nonostante in quel Paese si discuta su questioni come la guerra, la pace, l’identità religiosa, i rapporti con i palestinesi, scopriamo che il comportamento elettorale dei giovani segue lo stesso schema del resto del mondo ricco.