
«Era fondamentale essere qui a fronte di posizioni che sono veleno per la democrazia, che seminano odio, razzismo e intolleranza. Questa è una risposta seria dei cittadini genovesi».
Lo ha detto il sindaco di Genova Marco Doria, partecipando al corteo antifascista organizzato aall’ Anpi, a cui hanno aderito sindacati, alcuni parlamentari di centrosinistra e altre associazioni.
Genova, città medaglia d’oro della Resistenza. I manifestanti riuniti dietro lo striscione dell’Anpi: «Genova non dimentica, ora e sempre resistenza». Il corteo come risposta al convegno organizzato da ‘Forza Nuova’ e dalle ultradestre europee.
«Vogliamo esprimere il nostro sdegno-spiega Massimo Bisca, presidente dell’Anpi di Genova- rispetto alle presenze di persone condannate nei loro paesi per avere esaltato le SS, partecipato a pestaggi, aver negato l’Olocausto, essere xenofobi e razzisti».
Tra i relatori attesi a Genova il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, l’eurodeputato del Partito Nazionaldemocratico di Germania Udo Voigt e i nazionalisti francese Yvan Benedetti e inglese Nick Griffin.
I fatti di Genova, gli scontri seguiti al corteo della Camera del Lavoro col sostegno dei partiti antifascisti il 30 giugno 1960 per protestare contro la convocazione a Genova, città decorata di medaglia d’oro della Resistenza, del congresso nazionale del partito neofascista Movimento sociale.
Il 2 giugno il senatore comunista Umberto Terracini, che fu presidente dell’Assemblea costituente, durante un discorso nella ricorrenza della Festa della Repubblica, invitò le forze che si rifacevano ai valori della Resistenza a organizzare una manifestazione contro il congresso del MSI, ritenuto una provocazione contro Genova.
Il 5 giugno l’Unità, nella sua edizione genovese, pubblicò una lettera-appello scritta da un operaio, in cui si chiedeva che la città prendesse posizione contro l’annunciato congresso del MSI. Il giorno successivo, il 6 giugno, su iniziativa della federazione del PSI, i rappresentanti locali dei partiti comunista, radicale, socialdemocratico, socialista e repubblicano denunciarono il congresso missino come una grave provocazione da parte degli eredi del fascismo.
Il 13 giugno la Camera del lavoro chiede alla prefettura di vietare il congresso. Il MSI annuncia di aver convocato a Genova “almeno un centinaio di attivisti romani, scelti tra i più pronti a menar le mani”. Poi si diffonde la notizia della partecipazione ai lavori del congresso di Carlo Emanuele Basile, sottosegretario all’Esercito e prefetto della città ai tempi della Repubblica Sociale.
Basile era conosciuto a Genova per gli editti del marzo 1944 contro lo sciopero bianco e le proteste indette dagli operai, a cui succedette nel mese di giugno la deportazione di alcune centinaia di lavoratori nei campi di lavoro della Germania nazista.
Il 28 giugno Sandro Pertini in piazza: «La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della Casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori».
Il discorso di Pertini, particolarmente appassionato, verrà soprannominato in genovese “u brichettu” , “il fiammifero”, per aver simbolicamente “incendiato” la popolazione genovese.
Il 30 giugno sciopero generale proclamato dalla Camera del Lavoro e corteo col sostegno dell’Anpi.
Il 30 la manifestazione, in un’atmosfera tesa, si svolge inizialmente senza particolari problemi. I manifestanti giungono in piazza de Ferrari, dove molti si fermano nei dintorni della fontana centrale dove sono presenti jeep e mezzi della polizia. I manifestanti intonano canti partigiani. La polizia prova a disperdere la folla con un idrante e poi comincia alcune cariche intorno alla fontana dando il via agli scontri.
A questo punto lo scontro diviene aperto: le camionette e le jeep della celere effettuano caroselli nella piazza, nelle vie limitrofe, sotto i portici di via XX Settembre. I manifestanti nel frattempo si procurano attrezzi da lavoro, spranghe di ferro e alcuni pali di legno dai vicini cantieri edili.
Alcune camionette della celere vengono incendiate. Alcuni degli uomini della polizia, tra cui il comandante della celere finito nella vasca della fontana, rimasti isolati, vengono portati fuori dagli scontri e salvati da alcuni dei manifestanti.
Gli scontri si spostano anche nei vicini “caruggi”, gli stretti vicoli tipici del centro storico genovese, dove la popolazione residente “bombarda” con vasi e pietre lasciati cadere dalle finestre gli agenti della ‘celere’ che inseguono i manifestanti.
Gli scontri proseguono e gli organizzatori della manifestazione temono che venga ordinato alle forze dell’ordine di aprire il fuoco sulla folla, azione che avrebbe causato numerosi morti.
Il presidente dell’ANPI, Giorgio Gimelli, si accorda quindi con alcuni ex-partigiani, tra cui un funzionario di polizia, per fermare gli scontri, avendo in cambio l’assicurazione che le forze dell’ordine si sarebbero ritirate senza effettuare nessun arresto.
Al termine degli scontri si registrano 162 feriti tra gli agenti e circa 40 feriti tra i manifestanti.
Manifestazioni e scioperi di protesta contro il governo Tambroni si svolgeranno nello stesso giorno anche a Roma, Torino, Milano, Livorno e Ferrara.
In un suo discorso alla Camera dei Deputati sugli scontri del giorno precedente, Sandro Pertini accuserà degli stessi la Polizia (“a provocare gli incidenti non sono stati i carabinieri, non le guardie di finanza: è stata la polizia”), accusandola di aver mantenuto un comportamento fazioso anche nelle manifestazioni dei giorni precedenti al 30 giugno.
La Camera del Lavoro di Genova indice uno sciopero generale per il 2 luglio, il primo giorno del congresso dell’MSI. Il prefetto Luigi Pianese convoca i responsabili dell’MSI, proponendo un compromesso: il congresso del partito si sarebbe tenuto, ma al teatro Ambra di Nervi, mentre l’ANPI e le altre forze della sinistra avrebbero effettuato una manifestazione altrove.
I missini però rifiutano l’accordo, sostenendo che avrebbero accettato il trasferimento solo se ai manifestanti fosse stato vietato di sfilare per il centro della città.
Alla fine, il direttivo del Movimento Sociale, guidato da Arturo Michelini, decide di annullare la manifestazione, per ragioni “morali, politiche ed organizzative”. La Camera del Lavoro e i sindacati annullano lo sciopero previsto per il 2 luglio, mentre il giorno 3 si svolgerà una manifestazione con la partecipazione di diversi politici ed esponenti dell’antifascismo, tra cui Luigi Longo, Umberto Terracini, Pietro Secchia, Franco Antonicelli e Domenico Riccardo Peretti Griva.
Nel periodo successivo a quei fatti, e si hanno diversi scontri in diverse parti d’Italia, spesso nati da manifestazioni di protesta dei lavoratori o da commemorazioni di avvenimenti della lotta antifascista. Al contrario di Genova, in queste occasioni si registrerà un uso frequente delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine, con diversi morti e numerosi feriti tra i manifestanti.
Il 7 luglio una manifestazione sindacale a Reggio Emilia, con 20.000 partecipanti, finisce in tragedia quando la polizia e i carabinieri sparano sulla folla in rivolta, provocando 5 morti. In totale le forze dell’ordine esploderanno 500 colpi durante gli scontri.
L’8 luglio il democristiano Cesare Merzagora, presidente del Senato, propone una “tregua” di due settimane, chiedendo che vengano sospese tutte le manifestazioni di protesta indette dai partiti di sinistra, dall’ANPI e dai sindacati, e che nel frattempo vengano ritirate nelle caserme le forze di polizia.
A seguito delle proteste e dello sfaldarsi della propria maggioranza il Governo Tambroni si dimise il 19 luglio.
«È Genova che ha riaffermato come i valori della Resistenza costituiscano un patrimonio sacro, inalienabile della Nazione intera e che chiunque osasse calpestarli si troverebbe contro tutti gli uomini liberi, pronti a ristabilire l’antica unità al di sopra di ogni differenza ideologica e di ogni contrasto politico. »
« Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza».
«Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui».