Guerra commerciale Usa col Messico e revival britannici

Una sgarberia tira l’altra, e la diplomazia americana targata Trump promette scintille planetarie. Il presidente messicano Enrique Peña Nieto ha annullato la sua visita a Washington. La crisi tra i due paesi si è aggravata quando la Casa bianca ha comunicato di voler finanziare la costruzione del muro con una tassa del venti per cento sulle importazioni dal Messico.
Più muri quelli che si stanno alzando tra Usa e Messico. La barriera fisica che Trump vuole completare lungo tutti i 3100 chilometri che separano gli Stati Uniti dall’America latina. E adesso il muro politico ed economico che tra i due Paesi sembra diventare sempre più alto, con la svolta protezionista degli Usa, con la guerra dichiarata dall’inquilino della Casa Bianca all’accordo di libero scambio Nafta, il “North American Free Trade Agreement” e la svolta protezionista degli Usa.
Adesso la minaccia-spregio di una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico che servirebbero a coprire i costi della costruzione del muro. Secondo il portavoce della Casa Bianca, lo sgarbato Sean Spicer, l’imposta permetterebbe di raccogliere 10 miliardi di dollari l’anno.

«Se non vuole pagare il muro, allora tanto vale che Peña Nieto annulli il nostro incontro», ha fatto sapere il presidente Usa. E il presidente messicano l’ha esaudito colpi di twitt. «Abbiamo informato la Casa Bianca che non parteciperemo alla riunione programmata il prossimo martedì con Potus (Il presidente degli Usa)», ha scritto lo stesso Peña Nieto su Twitter.
A seguire, l’hashtag incendiario #FuckingWall, dall’ex presidente messicano, Vicente Fox Quesada.
Un vaffa tondo al permaloso Trump che peserà.
Siamo di fronte ad una vera frattura politica tra i due governi, e solo schermaglie? Alcuni media Usa parlano di trucchi. Secondo il fronte democratico più oltranzista, “Il governo straniero che ha più contribuito alla vittoria di Trump non è stata la Russia ma il Messico”. Solo provocazione? Capo d’accusa i viaggi, gli incontri e le conferenze stampa congiunte in campagna elettorale. Cose vere. Regalo finale, l’estradizione di ‘El Chapo’, il capo narcos, alla vigilia dell’Inauguration Day.
Quindi? Teatro politico a vantaggio dei due commedianti in casa propria, decisionismo contro patriottismo? Certo è che l’amministrazione messicana ha qualche problema di scandali, di corruzione e di violazioni dei diritti umani.

Problema dell’America del ‘riscatto bianco’ di Trump nei confronti dei ‘latinos’? Un po’, ma non solo. Theresa May, premier britannica, oggi a Washington, prima tra i leader stranieri a visitare il 45° presidente degli Stati Uniti. A compensare la prossima uscita dall’Ue la speranza di un accordo commerciale tra Regno Unito e Stati Uniti e un’agenda di riforme sulla Nato e le Nazioni Unite. Progetti ambiziosi, risultati incerti. Theresa May scommette su Donald Trump e su una rinnovata alleanza transatlantica tra i due Paesi ancora in grado di “guidare il mondo”. Ma Trump è ancora interessato all’obsoleto ‘fronte atlantico’?
Difficile ‘quadratura del cerchio’ da parte della premier che, sulla strada della Brexit, ha bisogno di una Nato forte per sostenere la sua sicurezza molto costosa, Nato giudicata “obsoleta” dal neo inquilino della Casa Bianca. Theresa May concede che la Nato ha bisogno di riforme e ma frena rispeto alle attese apertura Usa nei confronti della Russia che sul Baltico risulta ancora in ‘nemico’ da temere.
Consiglio non richiesto, «Intrattenere rapporti con Mosca, ma restando sempre vigili e attenti». Che appare buona regola per tutti. Con un primo fronte di contenzioso dichiarato. Eventuale stop alla collaborazione con le agenzia di intelligence Usa nel caso in cui dovessero adottare la tortura per ottenere informazioni negli interrogatori. Frena Trump, frena.

Condividi:
Altri Articoli
Remocontro