
Non furono festività natalizie di allegria e di gioia quelle del 1981 in Polonia.
Il 13 dicembre 1981 Wojciech Jaruzelski si presentò alla televisione nazionale polacca annunciando la proclamazione della legge marziale.
Nel suo discorso il generale si rivolse al popolo come soldato e come capo del governo polacco, in un momento in cui il paese era sull’ orlo del collasso in seguito ad una prolungata crisi economica e ad un periodo di durissime agitazioni sindacali.
Il generale annunciò la costituzione di un Consiglio Militare di Salvezza Nazionale, mentre il Consiglio di Stato aveva imposto la legge marziale in tutto il paese. Jaruzelski fece chiaro riferimento al caos e alla demoralizzazione montanti, mentre le fortune degli squali del mercato nero prosperavano di giorno in giorno.
Il generale concluse il suo discorso televisivo con un appello ai cittadini, invitandoli a collaborare per superare un tempo di difficili prove. Le ultime parole furono: «Davanti a tutto il popolo polacco e al mondo intero vorrei ripetere le parole immortali: La Polonia non è ancora perduta, finché viviamo ancora!».
Conseguenza immediata della legge marziale fu la messa al bando del sindacato Solidarnosc e l’arresto del suo leader Lech Walesa, assieme a molti altri esponenti politici. Chiusi i confini nazionali, fu subito imposto un coprifuoco con blocchi sulle strade verso le grandi città ed una forte presenza militare.
Il colpo di stato comportò tutta una serie di incidenti in cui parecchie persone rimasero uccise.
Secondo le fonti ufficiali del tempo le vittime sarebbero state una dozzina, ma in una intervista al settimanale cattolico Tempi (molti anni dopo i fatti, nell’ anno 2009) il generale Jaruzelski ammise numeri più alti. Una commissione parlamentare di inchiesta polacca del 1989-91 parlò di quasi un centinaio di vittime, tra cui nove lavoratori uccisi dagli ZOMO (la polizia paramilitare) tre giorni dopo l’annuncio della legge marziale per fermare uno sciopero nella miniera di carbone di Wujek .
L’ economia della Polonia, considerata da molti la grande malata del socialismo, andava a rotoli.
Una delle prime mosse del nuovo governo fu tornare alla settimana lavorativa di sei giorni, ponendo tutta la vita del paese sotto controllo militare che coinvolgeva sia le industrie che i servizi pubblici, comprese scuole ed ospedali.
I lavoratori infatti dovevano eseguire degli ordini militari, ed in caso di rifiuto venivano deferiti ad una corte marziale.
Tribunali militari anche per processare quanti diffondevano le cosiddette “false informazioni”, diffondendo notizie sgradite.
Il sistema dei media e quello scolastico vennero sottoposti ad un processo di “verifica” per testare l’ atteggiamento di giornalisti ed insegnanti verso il regime.
In seguito a queste “verifiche” circa 2000 persone persero il posto di lavoro.
Il grande nemico del regime polacco era il sindacato libero “Solidarność” (Sindacato Autonomo dei Lavoratori “Solidarietà”), nato nel settembre del 1980 nel corso degli scioperi ai cantieri navali Lenin di Danzica.
L’organizzazione poteva contare sul supporto di un gruppo di intellettuali dissidenti riuniti in un Comitato di Difesa degli operai, ma si richiamava soprattutto alla forte identità cattolica del popolo polacco.
Il sindacato, guidato da Lech Walesa, ebbe una crescita esponenziale e a dicembre del 1981 (circa un anno dopo la sua fondazione) contava già nove milioni di iscritti, un numero altissimo.
Il sindacato libero aveva ambizioni che andavano oltre il miglioramento della condizione dei lavoratori, puntando ad introdurre elementi di pluralismo nell’ingessato sistema politico polacco con un chiaro orientamento di opposizione ed in molti casi anche dichiaratamente anticomunista.
Si trattava di una novità autentica per tutto il blocco dei paesi a socialismo reale, dove non esisteva una vera libertà sindacale ed anzi queste organizzazioni avevano più che altro una funzione di cinghia di trasmissione e di collateralismo.
Come se non bastasse un sindacato libero così forte era un problema anche per i meccanismi e gli equilibri dell’ economia pianificata, in cui non erano quasi contemplate le rivendicazioni operaie e l’ aumento del costo del lavoro. Tutto questo rischiava letteralmente di far saltare il meccanismo dei prezzi stabiliti e quindi i conti dello stato.
Wojciech Jaruzelski, già ministro della difesa, era stato nominato primo ministro dal febbraio 1981 e si era subito reso conto della china su cui scivolava il paese. Nella intervista a Tempi (anno 2009) il generale parlava di una situazione drammatica in campo economico: «Negozi vuoti, uno stato d’animo della società sempre più esacerbato, non so se lei si ricorda, ma c’erano le tessere per i beni di prima necessità, nei negozi c’era solo l’aceto, le code per comprare qualsiasi cosa erano interminabili, dovevamo sospendere a tratti l’erogazione dell’elettricità, la benzina era razionata. Le tensioni crescevano sempre di più, e quelle settimane, quei giorni, quelle ore che hanno preceduto l’introduzione dello stato di guerra per me sono state un unico interminabile incubo, un vero incubo. Rimanevo in ufficio giorno e notte, sulla mia scrivania ogni giorno arrivavano pile di telex “Pretendiamo”, “Protestiamo”, “Vogliamo”, ma da un otre vuoto non si può attingere niente. Sentivo soprattutto la mia totale e assoluta impotenza».
Il momento, insomma, era non difficile, ma difficilissimo.
Poche settimane prima era anche fallito l’incontro ‘dei Tre’ (il 4 novembre 1981) fra Jaruzelski, il Primate Glemp e Lech Walesa. L’idea era quella di trovare un accordo per salvare il paese dalla bancarotta. L’ipotesi era sostenuta con decisione non solo dal primate polacco, ma anche dallo stesso papa ( polacco) Giovanni Paolo II.
Il generale nella sua intervista a Tempi dichiarò che «Fra i membri di Solidarnosc c’erano dei piromani e fra i membri del governo c’erano dei trogloditi. Purtroppo i piromani, forse non rendendosi conto che avrebbero potuto provocare un incendio, fecero delle pressioni enormi su Walesa, e portarono al fallimento di ogni possibilità di accordo. Pur mantenendo fermo il giudizio critico della Chiesa nei confronti del sistema, il primate Glemp in quel momento era molto critico anche nei confronti dell’ala radicale di Solidarnosc, che tendeva a farne un movimento politico, anche sotto l’influenza di forze esterne. Il Primate criticò anche il viaggio di Walesa in Italia, perché la visita era stata strumentalizzata di diversi gruppi politici per i propri interessi».
Falliti gli incontri, il segretario Lech Walesa si trovò sotto la pressione dell’ala che rifiutava il dialogo, per cui il 28 novembre la Commissione Nazionale del sindacato dichiarò che non avrebbe partecipato a nessun negoziato con il governo, ed anzi annunciò per il 17 dicembre un’ondata di scioperi.
I sovietici, nel frattempo, avevano già annunciato ufficialmente che dal gennaio 1982 (un mese dopo) sarebbero state drasticamente ridotte le forniture di petrolio e gas.
In questo momento economico gravissimo il governo polacco si trovava anche a fronteggiare pressioni di altra natura, principalmente geopolitiche.
E qui si apre una questione politica e storiografica importantissima, che porta a giudizi diversissimi sul personaggio Jaruzelski.
Il colpo di stato servì o meno ad evitare l’ intervento sovietico, come in Ungheria nel 1956 ed in Cecoslovacchia nel ’68?
La domanda non è da poco, e nella risposta è implicito un giudizio
Sappiamo che ai primi di dicembre del 1981, dal primo al 4, a Mosca si era tenuta la riunione del Comitato dei Ministri della Difesa del Patto di Varsavia.
Secondo Jaruzelski in quel momento le truppe del patto erano già pronte, schierate in prossimità del confine fin dai primi mesi del 1980.
Jaruzelski parla di un suo incontro svoltosi subito dopo con i vertici dell’ esercito polacco, nel corso del quale, in presenza di testimoni, cercò di chiamare Breznev ma riuscì soltanto a raggiungere il generale Suslov, a cui chiese cosa sarebbe accaduto in caso di proclamazione della legge marziale. Il sovietico avrebbe risposto che in quel caso la vicenda sarebbe restata un affare interno polacco. In caso contrario, invece, gli eserciti del patto di Varsavia “non avrebbero lasciato la Polonia in difficoltà”, e quindi ci si poteva attendere un’ invasione.
A quel punto il governo polacco proclamò la legge marziale, e come sappiamo l’invasione non ci fu.
L’ inevitabilità o meno di quel passo è una questione che non ha solo valore storico, ma ha una forte importanza politica.
In assenza di fonti certe gli storici sono in disaccordo.
Secondo alcuni documenti d’archivio in un colloquio avuto con il Comandante Supremo del patto di Varsavia, generale Kulikov, Jaruzelski avrebbe chiesto l’intervento sovietico visto il progressivo deterioramento della situazione interna e le crescenti difficoltà del governo polacco, che stava perdendo il controllo della situazione.
Jaruzelski respinse sempre queste accuse, sostenendo che il documento era solo un’altra falsificazione.
Un problema del genere si è posto anche in altre occasioni. Ad esempio l’ invasione della Cecoslovacchia, nel 1968, fu “spontanea” o fu sollecitata dall’interno? Il problema non è ancora stato risolto. Secondo alcuni ci fu una lettera ai sovietici del comunista slovacco Vasil Bilak, stalinista ed esponente dell’ ala dura, che sollecitava l’ intervento e che sarebbe stata consegnata brevi manu ad un ufficiale del KGB. Secondo altri i sovietici , vista la situazione ormai incontrollabile, avrebbero deciso autonomamente per la soluzione militare.
I polacchi oggi hanno idee diverse sugli eventi del dicembre 1981, a seconda del loro orientamento politico.
Chi è schierato a sinistra ritiene che la legge marziale in quel momento fosse necessaria. Chi invece è a destra ha un’ idea opposta.
I risultati di un sondaggio del 2001 parlano chiaro.
la maggioranza relativa degli intervistati (il 49%) riteneva la decisione giustificata, mentre il 27% si esprimeva in senso contrario.
Soprattutto, il 61% ( maggioranza assoluta) riteneva che la legge marziale avesse evitato un intervento militare sovietico, mentre per il 57% essa era servita al partito comunista per restare al governo.
La proclamazione della legge marziale a Varsavia nel 1981 ha avuto riflessi importanti nel movimento comunista internazionale, sentiti soprattutto in Italia.
Pochi giorni dopo, il 15 dicembre, il segretario del pci Berlinguer nel corso di una conferenza stampa televisiva dichiarava esaurita la spinta propulsiva della rivoluzione d’ ottobre.
Berlinguer dichiarò testualmente, «Ciò che è avvenuto in Polonia ci induce a considerare che effettivamente la capacità propulsiva di rinnovamento delle società, o almeno di alcune società, che si sono create nell’est europeo, è venuta esaurendosi. Parlo di una spinta propulsiva che si è manifestata per lunghi periodi, che ha la sua data d’inizio nella rivoluzione socialista d’ottobre, il più grande evento rivoluzionario della nostra epoca, e che ha dato luogo poi a una serie di eventi e di lotte per l’emancipazione nonché a una serie di conquiste».
In seguito ad una domanda del giornalista Turone, che gli chiedeva se il PCI, all’avanguardia nell’opera di revisione in campo comunista, avesse finalmente messo in soffitta ‘accanto a zio Stalin anche babbo Lenin’, il segretario del Pci rispose di considerare criticamente sia il socialismo democratico dell’ europa occidentale che quello al potere con i partiti comunisti dell’Europa dell’ est. Berlinguer concluse il suo intervento, che fece enorme scalpore , invocando la ricerca di una terza via.
Si aprì in tal modo una fase di forte dialettica all’interno del partito con l’emergere di un’area filosovietica che faceva capo a Cossutta, il quale si espresse in termini molto critici sulle dichiarazioni di Berlinguer pubblicando pochi giorni dopo sull’Unità un articolo durissimo contro questo “strappo”, definizione che darà anche il titolo ad un suo libro di successo pubblicato pochi mesi dopo.
La legge marziale in Polonia durò quasi due anni, e venne infine revocata il 22 luglio 1983.