
Il 10 nevoso dell’anno XIV, per noi oggi il 31 dicembre 1805, fu l’ultimo giorno del calendario rivoluzionario e repubblicano francese, il cui uso quotidiano – soprattutto dopo che Napoleone Bonaparte si era incoronato imperatore – era diventato quanto meno anacronistico. Con l’unica eccezione della Comune di Parigi, che lo adottò per sole tre settimane nel 1871, non fu mai più utilizzato da alcuno, sebbene alla sua realizzazione avessero contribuito alcuni tra i massimi intellettuali francesi del tempo, come l’astronomo Jerome Lalande, i matematici Joseph-Louis Lagrange e Gilbert Romme con i loro complessi calcoli o il poeta Fabre D’Églantine creando nomi suggestivi di nuovi mesi. L’idea originale era stata infatti quella di coniugare le idee della ragione e della modernità della scienza con una rottura netta del passato per rappresentare un modello universale e soprattutto una nuova era.
Il calendario prevedeva un anno scandito da dodici mesi di trenta giorni ciascuno, ai quali si aggiungevano sei giorni complementari, stabilendone l’inizio in corrispondenza dell’equinozio d’autunno, il 22 settembre. Ogni mese era suddiviso in tre decadi ed ogni decade prevedeva una giornata e mezza di riposo. Al posto dei nomi dei giorni della settimana si ricorreva ad un semplice ordinale e, con vera audacia di rinnovamento, i santi quotidiani del vecchio calendario gregoriano erano sostituiti dai nomi dei prodotti naturali della stagione, fossero piante o frutta, o da altri elementi naturali. Il 24 giugno, giorno tradizionalmente dedicato a san Giovanni Battista, diventava così il giorno del rosmarino e il 19 marzo, dedicato a san Giuseppe, il giorno del frassino.
Il poeta Fabre D’Églantine, che assieme a un altro studioso di storia naturale, aveva elaborato questo complesso sistema di piante, frutti ed elementi, non poté però vantarsi a lungo della sua originale invenzione: accusato di falso e concussione, fu ghigliottinato a Parigi il 6 aprile 1794 e molti testi odierni non ne ricordano nemmeno la data dell’esecuzione secondo il suo stesso calendario, ovvero il 17 germinale dell’anno II. Una fine dolorosa e prematura fu anche quella del matematico Romme: durante l’insurrezione del 1° pratile dell’anno III (20 maggio 1795), che fu anche l’ultimo sussulto giacobino, pronunciò infiammati discorsi a favore degli insorti. Arrestato dopo la sommossa, fu processato e condannato a morte, ma prima di salire sul patibolo si suicidò in carcere il 28 pratile (16 giugno). Altri scienziati, come il chimico Guyton o l’astronomo Lalande, mantennero durante i turbolenti periodi un profilo più basso e fecero in tempo a raccogliere gli onori di Napoleone.
Curiosamente oggi sono rimaste di uso corrente solo alcune date ancora espresse con il calendario rivoluzionario e che testimoniano episodi molto significativi della rivoluzione: il 9 termidoro dell’anno II (27 luglio 1794) fu arrestato Robespierre, determinando la fine del Terrore, e il 18 brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799) avvenne la presa del potere da parte di Napoleone che i proclamò primo console. E del resto, sempre Napoleone, dopo aver represso a cannonate una rivolta il 13 vendemmiaio dell’anno IV (5 ottobre 1795), soprannominato “generale Vendemmiaio” partì per la campagna d’Italia con questo appellativo. La rivoluzione era dunque finita e del fervore che aveva ispirato l’azione di rinnovamento del Comitato di pubblica istruzione nell’adozione del calendario repubblicano erano rimaste tuttavia due altre grandi riforme: l’istruzione pubblica e il sistema metrico decimale.