
di Henri Kociu
Il risultato positivo dell’anno scorso è un barlume di speranza nella storia dell’ambientalismo e degli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Un risultato tuttavia ottenuto con molta fatica viste le posizioni trincerate per molti anni di paesi quali USA e Cina, due Stati che da soli sono responsabili del 38% delle emissioni a livello globale. Ci sono volute ben ventuno COP prima di far vincolare i paesi giuridicamente e guidarli verso politiche di riduzione delle emissioni.
Scelte economiche green da parte dei paesi sviluppati e un fondo di 100 miliardi di dollari l’anno (a partire dal 2021) per quelli sottosviluppati e in via di sviluppo, dovrebbero stabilizzare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi e, precisamente, l’obiettivo ambito è 1,5 gradi. A tal proposito, la COP22 viene preceduta da una serie di eventi che rafforzano l’impegno preso a Parigi.
I paesi donatori (39, tra cui anche l’Italia), ovvero quelli che contribuiranno a raggiungere i 100 miliardi di dollari l’anno, il 17 ottobre hanno diffuso dichiarazione, «Roadmap to the $US100 billion» in cui si elencano i punti su come raggiungere tale somma.
Lo studio dell’OCSE, da un lato esprime fiducia sulla raggiungibilità dell’importo stabilito, dall’altro lato ritiene che gran parte di questo importo cadrò sulla finanza pubblica. Per questo, si invitano i paesi a «utilizzare la finanza pubblica per mobilitare efficacemente quella privata». Non tanto e non solo per i 100 miliardi, ma per gli obiettivi stabiliti dall’accordo di Parigi.
Politiche energetiche a lungo termine
Proprio durante la conferenza in Marocco, la Germania (seguita poi dal Messico e dal Canada), qui riportato sul sito di ‘Climate Action’, è stata la prima ad approvare un piano d’azione a lungo termine fino al 2050 che prevede la riduzione delle emissioni dell’80-95% esteso a tutti i settori fino a tale data. Dall’esempio tedesco altre 22 nazioni, tra cui il Regno Unito, 15 città e 196 imprese si sono impegnate a pianificare obiettivi a lungo termine fino al 2050. Così come insieme all’Australia e al Canada, il paese guidato da Angela Merkel incoraggia la trasparenza degli sforzi iniettando 50milioni di dollari in investimenti.
Eppure, Marrakech ha ospitato la COP22 in un momento in cui lo scetticismo fa breccia con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Non è sufficiente l’allarme lanciato dagli scienziati nel loro ultimo rapporto del 2014, che ha accelerato l’accordo parigino. Come Bush e Clinton riguardo al protocollo di Kyoto, anche Trump utilizza le conseguenze economiche sulle imprese americane come bandiera contro ogni accordo climatico vincolante.
Il 3 settembre scorso, poco prima del G20 in Cina, il presidente uscente americano Barack Obama e l’omologo cinese Xi Jinping hanno ratificato l’accordo parigino, rompendo la chiusura pluridecennale. Promosso da entrambi come necessario “per salvare il pianeta”, il 4 novembre l’accordo è entrato in vigore dopo aver raggiunto il quorum di 55 paesi responsabili del 55% delle emissioni. Attualmente 115 paesi hanno ratificato l’accordo, ma gli ostacoli potrebbero arrivare dalla potenza americana, e non stupirebbe se a ruota venisse seguita da altri, vanificando nuovamente gli sforzi.