C’è ancora spazio per la Turchia in Europa?

La Turchia non può più entrare a far parte dell’Unione Europea. Bisogna che Bruxelles le proponga una partnership strategica.

È arrivato il momento di ammetterlo. Senza ulteriori esitazioni. Bisogna che Bruxelles cancelli ufficialmente la trattativa con Ankara per l’entrata nell’Unione europea e le proponga piuttosto una partnership strategica. Non è questione di rincorrere l’islamofobia montante nel Vecchio Continente. È questione di onestà e serietà. Il tentativo è fallito. E oggi né la Turchia né l’Ue sono pronte a compenetrarsi reciprocamente.
In Turchia è forte un sentimento nazionalistico e una visione di sé all’interno del sistema internazionale che mal si coniuga con la barocca architettura burocratica sovranazionale che caratterizza l’Europa di oggi. L’Ue, da parte sua, fatica a tenere insieme le sue stesse componenti nazionali e locali ed è avvertita con sempre maggior sofferenza da una parte consistente della popolazione europea.

Non ha alcun senso tentare di allargare l’Unione Europea ad un paese importante e complicato come la Turchia, quando l’Unione stessa è messa in discussione da suoi importanti membri storici. Ripeto: non è e non deve essere una bocciatura della Turchia, ma una semplice doccia di realismo. Nessuno dei due è pronto a questo matrimonio. Non questa Europa e non questa Turchia.

Lo scorso 22 maggio, il premier britannico David Cameron stigmatizzò che la Turchia non entrerà a far parte dell’Unione Europea prima dell’anno 3000, visti i tempi di progresso dei negoziati di accesso. Il vice primo ministro turco Numan Kurtulmus ha replicato piccato che affermare una cosa del genere è una vergogna, ma per chi lo dice e non per la Turchia, che, ha sottolineato, non dipende dall’Unione Europea. Il botta e risposta segue i mesi di polemica riguardanti il brutto accordo sui migranti tra Bruxelles e Ankara. Un accordo che ha visto parte delle forze politiche europee accusare la Turchia di ricattare l’Unione Europea.

Insomma, bisogna ammetterlo. Siamo arrivati al capitolo finale. Ed è meglio interrompere ora, e magari ripartire da un’altra base e con altro orizzonte, piuttosto che aspettare di consumare tutta la fiducia residua e trasformarsi da alleati in nemici. L’Europa deve smetterla di prendere in giro la Turchia. Ankara presentò la sua richiesta di partecipare in qualità di membro associato alla Comunità Economica Europea nel 1959. Nel 1963 la Cee e la Turchia siglarono l’accordo di unione doganale.

Nel 1987 Ankara si candidò a diventare membro a pieno titolo della Comunità Europea. Solo nel 1999 il Consiglio europeo di Helsinki riconobbe la Turchia come paese candidato all’adesione all’Unione Europea a parità di condizioni con gli altri paesi candidati. I negoziati di accesso però iniziarono appena nel 2005. Dei 35 capitoli di accesso, solo 15 sono stati aperti, e solamente uno è stato chiuso. Intanto la Turchia si è vista superare da diversi stati dell’est Europa, oggi membri a pieno titolo, ma che all’epoca non potevano certo vantare una più solida fede democratica. E forse neanche oggi. In compenso sono storicamente cristiani, e con una buona dose di ateismo alle spalle.

Il valzer penoso tra Unione Europea e Turchia è meglio che finisca presto. Entrambe hanno bisogno una dell’altra. Quindi forse è il caso di trovare qual è la formula giusta per legarsi senza farsi del male. Oggi la Turchia sembra essere considerata imprescindibile per limitare il flusso dei migranti diretti verso il Vecchio Continente. Ma sarebbe più serio ammettere che non sono gli immigrati il problema di sicurezza dell’Europa. Se la Turchia dovesse essere destabilizzata e risucchiata all’interno dei conflitti mediorientali o, peggio, dovesse mostrarsi ostile all’Ue, i Balcani verrebbero presto destabilizzati.

A quel punto il confronto tra NATO e Russia in Europa verrebbe rinvigorito, proprio dietro la linea di difesa che la NATO sta costruendo sull’asse Romania-Paesi Baltici, con la Polonia nel ruolo di regista. I conflitti etnici dei Balcani, del Medio Oriente, del Caucaso e del Nord Africa (insomma: quel che faceva parte dell’Impero Ottomano) troverebbero una saldatura di crisi. A queste condizioni cosa ne sarebbe della Grecia, già sotto stress per i tentativi di ripresa dalla bancarotta e in prima linea nella gestione migranti? Non è difficile immaginare scossoni di destabilizzazione che raggiungano il cuore d’Europa, mandando in frantumi tutta la contorta architettura sovranazionale, sotto i colpi delle nuove destre, reazione imprescindibile al caos di uno scenario così descritto.

E allora? Giù la maschera! Meglio per tutti. Ankara, non ci sono le premesse per un tuo accesso all’Unione. Troviamo una nuova piattaforma. Una partnership strategica, che magari riesca a unire al suo interno anche la regione economica dei Balcani e del Mar Nero. Ripartiamo da pari a pari. Mettiamo sul tavolo le opzioni di collaborazione. Le rispettive necessità di difesa, sicurezza, economia. E troviamo insieme la formula che ci permetta di rimanere ancorati l’una all’altra, senza prenderci in giro.

Perché il negoziato di accesso è solo questo: un’enorme presa in giro. Lo sapete voi e lo sappiamo noi. Senza rancori. Abbiamo sbagliato. Ma non tutto è perduto se ammettiamo oggi questa semplice realtà: non c’è posto per la Turchia nell’Europa di oggi. Un atto di coraggio sarebbe un atto di responsabilità e di rispetto. In fondo non si tratta d’altro che affidarsi alla saggezza popolare. Patti chiari e amicizia lunga. Ma se i patti non sono chiari, il risentimento è assicurato. Con esiti indesiderati, imprevedibili nelle tempistiche, ma devastanti negli effetti. È solo una questione di scelte.

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