Ci voleva la campagna referendaria del premier Renzi per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul conflitto tra israeliani e palestinesi, cancellato di fatto dalle guerre mediorientali di altre origini e dall’Isis. Priorità di altre notizie, e la questione israelo palestinese finisce in cantina anche per ripetitività di fallimenti e ruoli dei protagonisti tra sempre perdenti e sempre vincenti.
Ora Renzi, scatenato da un continente all’altro, cavalca tutto, e la forzatura lessicale dell’Unesco a maggioranza araba sui luoghi sacri a Gerusalemme diventa un altro ponte sullo stretto di Messina.
Renzi ha definito il voto dell’Unesco “allucinante”, boccia la Farnesina e striglia senza nominarlo il ministro materasso Gentiloni che prontamente incassa e già oggi promette di redimersi. Ma che accade realmente in quelle terre dimenticate?
Lucido ed esemplare come sempre, Eric Salerno. «Dall’Unesco grande autogol su Gerusalemme e un “favore” politico a Israele». Sintesi da grande giornalismo: «Si è trasformato in un grande autogol, la risoluzione dell’Unesco sui luoghi santi di Gerusalemme, che nel tentativo di sottolineare i gravi problemi per la popolazione palestinese derivanti dall’occupazione e salvaguardare i luoghi santi dell’Islam, ha dato al premier israeliano Netanyahu modo di chiedere e ottenere rinnovato sostegno in un momento di grande isolamento politico del suo governo e della sua politica di espansione coloniale nei territori palestinesi».
Eric Salerno che in Israele vive molta parte del suo tempo, rileva dettagli che a Renzi, battutista a sintesi anche sui temi più complessi, era sfuggito o non interessava sollevare: l’intreccio delle responsabilità alle origini della questione.
Renzi ha definito “allucinante” il documento e minaccia di spaccare l’intesa che vede i paesi dell’Ue votare quasi sempre in modo unanime le risoluzioni dell’organismo dell’Onu.
Va detto che il documento Unesco era del 13 ottobre, e il ripensamento italiano -la teatrale indignazione del premier- arriva soltanto dopo le fortissime reazioni israeliane e delle comunità ebraiche nel mondo.
La sintesi dei fatti, ad un altro grande reporter e amico che usiamo come garanzia di terzietà, Ugo Tramballi, de Il Sole24ore. «L’Unesco ha approvato una risoluzione che nega il legame storico degli ebrei, e quindi di Israele, con la Spianata del Tempio che gli arabi chiamano al-Haram al-Sharif (il Nobile santuario) e gli ebrei HaBayit (il Monte della Casa, intesa casa di Dio)». Ma..
Ma, «Se il Presidente del consiglio avesse avuto il tempo di leggere i 41 paragrafi della risoluzione [.] avrebbe usato una definizione meno radicale. Il documento non è allucinante, è sbagliato sul piano storico e, date le circostanze, su quello politico..».
Perché niente in questa disputa è equilibrato. Dunque, nemmeno la risoluzione dell’Unesco.
Torniamo al documento, con Eric Salerno. «Affermando l’importanza della città vecchia di Gerusalemme e le sue mura per le tre religioni monoteiste e affermando che nessun elemento della presente decisione, che ha lo scopo, tra l’altro, di salvaguardare il patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est, riguarderà in alcun modo le precedenti risoluzioni e decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sullo status giuridico della Palestina e di Gerusalemme». Incipit impeccabile, da accademia.
E ancora nell’articolo 36: «Condivide con affermata convinzione per la comunità internazionale che i due siti detengono importanza religiosa per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam».
Quale dunque lo scandalo?
Scandalo linguistico in una terra dove i problemi sono ben altri. L’assenza nel lungo documento, dell’antico nome ebraico, più antico di quello arabo, per i mille luoghi storici e religiosi citati.
Ancora Tramballi: «Dal punto di vista strettamente storico, i punti propagandistici non sono molti: come per esempio l’accusa ridicola delle “false tombe ebraiche” che gli israeliani avrebbero scavato sul monte degli Ulivi. Ma non è lontana dalla realtà l’accusa secondo la quale gli archeologi israeliani possono scavare attorno al monte sacro (non sopra), mentre gli arabi non ottengono i permessi necessari [.]». Ma la partita non riguarda solo la storia.
Il giugno prossimo saranno 50 anni dalla Guerra dei sei giorni e l’inizio dell’occupazione israeliana. Gerusalemme la capitale indivisibile dello stato e del popolo ebraico, dice Israele. Per gli arabi e quasi tutto il resto della comunità internazionale la città dovrà essere divisa per diventare la capitale di due Stati.
Ecco perché il documento Onu che sancì la spartizione della Palestina prevede che Gerusalemme e i luoghi santi, tutti, dovevano restare sotto controllo internazionale.
«Questo potrà cambiare -ci ricorda Eric Salerno e lo sostengono anche i maggiori alleati d’Israele come gli Usa- soltanto quando sarà negoziata la fine dell’occupazione di tutti i territori palestinesi e della sua popolazione sotto controllo militare israeliano».
Qualcosa di molto più serio e complesso di facili polemiche d’occasione, per giunta sospette di essere state sollevate per interessi estranei al tema trattato. Torniamo al tema reale, dopo un grazie a Eric Salerno e Ugo Tramballi. Cosa accade realmente a Gerusalemme e non all’Unesco?
Negoziato di pace inesistente, comunità internazionale disinteressata, governo israeliano reazionario e provocatore, classe dirigente palestinese mediocre e divisa.
Con Gerusalemme detonatore su una bomba mai disinnescata. Memoria al vertice di Camp David nel 2000, fallito a un passo dal compromesso per gli incidenti provocati volutamente sulla Spianata che cancellarono la diplomazia e diedero il via alla seconda e più feroce intifada.
Quando si parla di Gerusalemme un po’ di prudenza anche lessicale non guasterebbe. Da parte dell’Unesco, ma non soltanto.