Voto nel micro-Montenegro lacerato tra Nato e Russia

In Montenegro, elezioni politiche ritenute cruciali per il futuro del piccolo Paese balcanico, diviso fra sostenitori di una completa integrazione euroatlantica e coloro  che invece guardano a est e a più stretti legami con la Russia a cui li lega la comune appartenenza alla cristianità ortodossa. Favorito resta il premier Milo Djukanovic con il suo Partito democratico dei socialisti (Dps) che dovrebbe aggiudicarsi la maggioranza degli 81 seggi del parlamento.

È tuttavia probabile che Djukanovic -da 25 anni protagonista molto discusso sulla scena politica del Montenegro- non otterrà voti sufficienti per governare da solo e dovrà ricorrere ad alleanze. Clima teso quello creato dal leader che ha descritto l’alternativa tra l’integrazione nella Ue e nella Nato al diventare “una colonia russa”. Una bramosia da parte di Mosca senza riscontri noti.
Ma il primo ministro del micro stato Adriatico insiste e già nell’incontro tra i ministri degli esteri Nato nella sede dell’Alleanza a Bruxelles, il maggio scorso, ha accusato la Russia di interferenze sulla campagna elettorale il cui andamento evidentemente non lo rassicurava.
E alla vigilia del voto, pochi giorni fa, l’accusa che ritorna: “la Russia sta versando soldi nella campagna elettorale nel tentativo di far deragliare il progresso del paese verso l’adesione alla Nato”.

La ‘trama balcanica’ di Mosca. Secondo le visioni politico strategiche del premier del micro Stato della ex Jugoslavia, Mosca avrebbe un ruolo determinante in Montenegro attraverso i suoi oligarchi e canali segreti che sviluppano le loro trame  dalla confinante Serbia e dalla bosniaca ‘Republika Srpska’, l’entità serba di Banja Luka.
Ovviamente sul fronte dell’opposizione, coro di smentite e repliche sui trascorsi politici dell’attuale premier, già erede di Milosevic ai tempi del potere di Belgrado.
Nebojsa Medojevic, del Fronte Democratico ribalta l’accusa, rivangando il passato di Djukanovic “a stretto contatto con la politica russa ufficiale, con i suoi centri informali di potere, con la mafia russa molto radicata in Montenegro, e le strutture di intelligence di Mosca”.

In attesa del responso tra Nato e Mosca, l’ex contrabandiere

Sul percorso di ammissione del Montenegro nell’Unione europea, v’è anche un procedimento penale avviato delle procure di Napoli e Bari contro Milo Djukanovic, accusato di contrabbando di sigarette per 700 milioni di euro. Storia antica svelata da giornalisti ficcanaso nei Balcani del 2003.
L’attuale primo ministro, allora Presidente, secondo le accuse avrebbe, in complicità con Paolo Savina, Dusanka Jeknic e Veselin Barovic, «promosso, fondato e diretto una associazione a scopo criminale, il cui fine era il traffico di sigarette dal Montenegro all’Italia e in altri Paesi dove ci sono zone commerciali franche».

Successione di ricorsi giudiziari sulla immunità e meno del presidente e premier di un Montenegro, parte allora della piccola Jugoslava con la Serbia. Dopo il referendum per l’indipendenza del 2006, il Montenegro è Stato sovrano e Đjukanović è intoccabile.
Per avvicinarci all’oggi, nel più recente report 2014 per l’ammissione Ue, si osserva che durante gli anni tecenti, si sono svolte una serie di elezioni locali “funestate da accuse di irregolarità”. Brogli, forzature e clientele commerciali e forti sospetti di corruzione, ad esempio attorno alle licenze per la costruzione di due centrali idroelettriche a Bijelo Polje e Andrijevica.

Ma vuoi mettere questa cronacaccia nera coi sospetti del Kgb mandato dal Cremlino?

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