Nobel, se ne va il giullare Fo arriva il menestrello Dylan

Il giullare ha ritrovato la sua regina

È morto Dario Fo. E ho qualche motivo in più di tristezza, perché lui e Franca Rame li ho conosciuti, e ci ho “lavorato” se mi si passa questo termine per dire di quel misto di sudore attivistico, passione politica e culturale che fu in Sicilia il primo anno di Mistero Buffo. Ebbi qualche parte nel loro “giro” – durato in due fasi all’incirca tre mesi – per un circuito alternativo di teatri e cinema in disuso, capannoni, luoghi di riunione abbandonati che l’indimenticabile Ugo Minichini ci mandò a riscoprire e riattivare per l’Arci (rifugio non dorato nel post ’68 per quelli di noi del “movimento” che non si rassegnavano al reducismo nelle organizzazioni di partito o nei gruppi). E qualche scambio di idee, qualche cena, qualche impressione mi rimasero impresse.

Erano anni di svolta, 1969/1970. Subito dopo ‘Ci ragiono e canto’ e prima ancora della rottura con la “sinistra tradizionale”, prima ancora della Comune e della Palazzina liberty, Dario Fo e Franca Rame avevano creato una entusiasmante ed esplosiva miscela di spettacolo cultura e militanza. Erano anche nella vita letteralmente due vulcani in permanente eruzione. Fo rispetto a Franca Rame (all’opposto di quel che sarebbe accaduto in tempi più recenti) mi sembrava un po’ più preoccupato di mantenere un filo di collegamento con la sinistra del Pci, e l’Arci nella versione movimentista dell’organizzazione siciliana si prestava a svolgere questo ruolo di precario tramite. In ogni caso, ci divertimmo molto.

Tra gli spettacoli in tournée uno comprendeva una performance dell’allora sconosciuto ma geniale Enzo Del Re, che con l’aiuto di una sedia cantava una struggente Avola composta dallo stesso Fo dopo la strage dei braccianti. E nel “lavoro politico e culturale” che ci prestavamo a compiere figuravano anche la faticosa la “trovaroberia” della seggiola che svolgeva la funzione di strumento di percussione per Del Re, e i continui litigi e i compromessi con i questori siciliani che negavano sistematicamente anche a un’ora dalla messa in scena per “ragioni di sicurezza” i “permessi” nei teatri.

Lavorammo sodo, ed era – ma non lo sapevamo -vigilia di anni di golpe e di piombo. Il Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese invitò a manganellarci sia la forza pubblica sia una milizia privata radunatisi accanto al teatro nella quale riconobbi le facce di certi liceali palermitani, futuri terroristi, Concutelli Mangiameli… Quando tanti anni dopo, gli chiesi un’intervista televisiva, Dario disse di ricordare “con intensità” quel tour in Sicilia che precedette la rottura con la sinistra “teatrale” e a cascata con quella politica, consumatasi in un seminario/laboratorio nello spartano residence Arci della foresta del Teso, sopra Pistoia.

Qui tra una canzone di Giovanna Marini, un intervento di Dario Fo e un’intemerata di Nanni Ricordi, quelli della futura Comune di Milano vennero addirittura alle mani con i teatranti “emiliani” che rivendicavano più spazio per le compagnie locali, delle quali per la verità – a differenza di Fo e Rame – non è rimasta alcuna traccia nella storia del teatro politico e popolare. Le strade si riunirono, si divisero, e poi tornarono a riunirsi e dividersi: ora che Dario Fo se ne è andato per sempre forse qualcuno farà l’autocritica per tante o poche divisioni che si sarebbero potute evitare.
Ma una risata anarchica e intelligente seppellirà, spero, ipocriti ripensamenti.

Tags: Nobel Sicilia
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