Allora, credo fosse il 1999, erano da poco finiti i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia. Io che da Belgrado e dal Kosovo fui uno dei narratori Rai di quella tragedia, il più esposto televisivamente, ero al momento personaggio noto, e ‘Colomba d’Oro della Pace’ assieme, quell’anno, all’americano reverendo Jesse Jackson, l’enorme amico di Martin Luther King, anche lui icona delle battaglie dei diritti civili degli afroamericani.
Il premio prevedeva allora anche l’essere ricevuti dal Presidente al Quirinale, ma l’aereo del premiato americano è in ritardo, come segnala la faccia preoccupata di Paolo Peluffo sulla destra delle foto. Eppure Ciampi non ci molla, e rimane a chiacchierare con noi in forma confidenziale.
Fu allora che gli raccontai di come, nella Belgrado sotto le bombe Nato appresi della sua elezione a presidente. Guardavo la telecronaca della elezione mentre scrivevo l’ennesimo pezzo della giornata quando il cineoperatore serbo Miki Stoijcic chiede cosa stia accadendo a Roma.
“Vedi, quello è il mio nuovo Presidente”.
“Ma come? Di nuovo?”.
“Ogni sette anni non mi pare tanto ‘di nuovo’”.
“Bah. Noi qui lo eleggiamo una volta e ce lo teniamo fin che campa”.
La battuta che lo associava indirettamente a Milosevic divertì molto Ciampi, tanto che lo spinse a rilanciare con i suoi ricordi di giovanissimo ufficiale degli ‘autieri’ a sua volta nei Balcani durante la guerra mondiale. Dettaglio che mi sarebbe stato utile in una telecronaca che allora neppure immaginavo mi sarei trovato a fare.
Temo che da quella occasione nacque nel Presidente qualche idea miei confronti.
Infatti, nei primo mesi del 2000 tornai al Quirinale per concordare i modi e l’organizzazione della telecronaca di Rai Uno sulla riaperta sfilata del 2 giugno ai Fori imperiali. Perché il presidente Ciampi, dopo 20 anni da che la sfilata era stata ‘sospesa’ per contestazioni e ‘anni di piombo’, voleva riportare in piazza il tricolore. E, a mio avviso, con attenta malizia politica, colse al balzo il Remondino reduce, allora quasi intoccabile, per giunta pacifista coi galloni e ‘sinistro’ conclamato.
Confesso che ricevetti sollecitazioni dai vertici Rai e più lievi inviti dal sommo colle. Alla fine accettai, soprattutto per quella chiacchierata col Presidente in attesa di Jesse Jackson, avendo memoria della trasparenza del galantuomo assolutamente antifascista che parlava di Patria e tricolore senza rullo di tamburi.
Concordammo che la sfilata fosse intitolata ai ‘Soldati di pace’. Interpellato dall’amico Francesco Di Tommaso del Manifesto se fosse vero o meno che sarei stato il telecronista della sfilata, ne ricavai una bestemmia, “ Porc…. Mica possiamo attaccare te!”. E il 2 giugno, in quell’anno 2000, tornò in piazza, con più applausi che contestazioni. Grazie all’accortezza acuta di Carlo Azeglio Ciampi. E un po’, azzardo, anche con lo zampino mio.
Io non tornai ai Fori Imperiali, perché a stare in equilibro tra militari e pace, avevo probabilmente scontentato tutti i generali e molti pacifisti. Meno rischioso tornare alle guerre vere, Belgrado, Kosovo, o Medio Oriente o Afghanistan eccetera eccetera.
Un anno dopo, a Belgrado, in ambasciata, presente quasi tutta la colonia italiana delle bombe, l’ambasciatore Giovanni Caracciolo, che si aggirava attorno con fare sospetto, mi consegna un plico legato da nastro tricolore.
Imbarazzato e ancora inconsapevole di cosa stesse esattamente accadendo, tiro fuori la nomina presidenziale a ‘Ufficiale Cavaliere della Repubblica’, con annessa decorazione che nessuno di voi, nessuno al mondo, vedrà mai da me esibita. Comunque un ricordo a cui debbo riguardo.
Mi pento ora di non aver mai ringraziato Ciampi per quel riconoscimento che non meritavo, ma non è mai stata nella mia cultura la possibilità di essere io ad andare cercare personalità dello Stato per questioni personali. Anche se solo per dire grazie.
Ho rivisto di sfuggita il presidente Ciampi, ormai ex, al funerale del caro amico Paolo Giuntella, quirinalista per il Tg1. Ciampi, già molto anziano e probabilmente ammalato, si presentò in chiesa quasi di nascosto, solo, abbracciò i familiari e si allontanò senza infastidire nessuno.
Anche per questo, il ricordo che ho di Carlo Azeglio Ciampi è soprattutto quello di un galantuomo, come si diceva un tempo.