Se l’ambasciatore Usa e la politica straparlano

Adesso sì che siamo tranquilli: l’ambasciatore Usa in Italia ci ha indicato come sia opportuno votare al referendum sulla riforma della nostra costituzione. John Phillips, nonni di origine italiana e un buon rapporto personale con Renzi, ci consiglia di votare un bel Sì, perché lui ci ama, tutti, quasi quanto ama la Toscana.
Come se l’ambasciatore italiano a Washington suggerisse e agli americani chi scegliere tra Hillary e Trump.
Un intervento talmente fuori luogo quello dell’ambasciatore di poca diplomazia da far pensare di più ad una scemenza personale che ad una interferenza politica Usa.

John Phillips, parlava ad un incontro sulle relazioni transatlantiche organizzato a Roma all’istituto di studi americani. “Il No al referendum sulla riforma costituzionale sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”.
Concesso a tutti noi che “Il referendum è una decisione italiana”, ci ha spiegato anche che il voto sulle riforme costituzionali, “offre una speranza sulla stabilità di governo per attrarre gli investitori che stanno osservando quanto avviene in Italia”. Quasi una minaccia di catastrofe economica e neppure troppo velata.

Vota Antonio, vota Antonio, Vota Antonio
Come Totò, soltanto che il consiglio non richiesto dell’ambasciatore di un Paese in bilico tra campioni come una Hillary o Trump, fa saltare la mosca al naso a mezza Italia non solo politica.
Da destra a sinistra, per ciò che ne rimane, un ‘Vaffa’ grillino all’improvvido ambasciatore che da adesso in avanti, in Italia, porterà pena.
Tanto che persino il pacioso Bersani sbotta: “Da non credere, per chi ci prendono?”.

Più che ‘per chi ci prendono’, è il ‘come ci prendono’. Ci prendono per la gola, per le tasche, o almeno ci provano.
Mr Phillips arriva buon ultimo dopo Economist, Financial Times, Wsj, il mantra della finanza internazionale che ci spiega come votare, votare Sì, per non essere lasciati al nostro declinante destino.
Peggio il responsabile rating sovrani per Europa e Medio Oriente di Fitch, Edward Parker, da Londra. “Se prevalesse il No, lo vedremmo come uno shock negativo per l’economia e il merito di credito italiano”. Avvertimenti, più che consigli.

Come osserva Norma Rangieri su il Manifesto, mancano soltanto le cavallette come anatema. La bagarre dei partiti e tra di loro è come sempre abbastanza irrilevante. Ognuno recita la sua parte in commedia. Manca solo venga chiesta la rottura delle relazioni diplomatiche con gli Usa. E Gasparri, sulla scia di Trump, sceglie Putin rispetto ad Obama. Gara a la spara più grossa per un titoletto. Ma certo John Phillips tanto furbo non lo è stato.
E non ha neppure fatto un gran favore al suo amico Renzi che, per eccesso di piaggeria, rischia di essere affondato dai troppi amici di convenienza.

Comica finale
Nella quotidianità degli improperi tra Pd e M5S, la comica finale tocca al vice presidente della Camera e aspirante futuro premier Luigi Di Maio.
Con un post su Facebook, l’attacco sul referendum a scadenza incerta, “Ottobre, novembre o dicembre, ci faccia sapere la data, quando gli farà comodo”, e l’accusa Renzi di arroganza, “Come ai tempi di Pinochet in Venezuala. E sappiamo come è finita”. Venezuela, sì. Geografia e memoria politica decisamente scarse per Di Maio che già si era distratto con le mail della sindaca di Roma, Raggi.
Alliende cileno che si rivolta nella tomba, correzione del twitt dell’ignoranza, mentre la rete sghignazza. Mica tanto da ridere se questo è l’avvenire

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