
A proposito del record di fallimenti in Francia e Belgio sulla prevenzione attentati e all’opera della così detta (nel caso francese) intelligence. Se la sédicente patria dei formaggi in terra europea dimostra di avere pure sottratto alla Svizzera il monopolio dell’emmenthal, quanto a buchi che costellano le proprie reti protettive, è tutto un piovere di tragici sarcasmi nei confronti dei poveri transalpini.
Per contro si avverte una sorta di gratificante consolazione nel constatare che, le tanto deprecate italiche istituzioni, ci hanno invece finora lasciato fare sonni tranquilli, a pari merito con le più celebrate istituzioni britanniche.
Come sempre ogni medaglia ha il suo rovescio. Ogni servizio segreto che si rispetti ha il suo bravo “ufficio affari sporchi’’, quello del si fa, ma non si dice. Vale a dire che la prevenzione del terrorismo può talora avvalersi di metodi sconosciuti a chi deve le proprie competenze politiche alla esclusiva frequentazione adolescenziale della scuola delle Orsoline.
Bene inteso, anche chi avesse sviluppato in materia maggiori dosi di cinismo può preferire far finta di non vedere.
Così è che di fronte alla relativamente tranquilla situazione nostrana nessuno, che io ricordi, ha osato fare cenno a vecchie storie come quella del rapporto Moro-Giovannone di antica data. Per i più giovani e/o gli immemori, faccio solo presente che si trattò di un accordo tra il ceto politico di allora e i nostri Servizi in cui, si vocifera, esisteva l’indicazione di non assillare con ossessivi controlli, i Palestinesi in circolazione sul suolo d’Italia, compresi i presunti terroristi, ricevendo in cambio la garanzia di una assenza di attentati nel nostro Paese.
Proprio assenza non fu, ma il solo sospetto che l’Italia avesse potuto costituire una sorta di terra di riposo dei Palestinesi più bellicosi, fece parecchio inalberare i nostri alleati di Washington e Tel Aviv, tanto da far pensare a qualcuno che qualche episodio sgradevole ci sia capitato anche sotto forma di ritorsione dei nostri “amici’’.
Anche oggi i nostri “amici’’ trovano sicuramente da ridire su taluni aspetti della nostra politica estera. In Libia, tanto per dirne una, la nostra opera di mediazione, può essere apparsa anche come furbesca (o intelligente) propensione al disimpegno militare, che ci ha portato a coniugare utile (contenimento della spesa e difesa degli interessi dell’Eni) al dilettevole (apparire agli occhi dell’Islam come interlocutore moderato da non infastidire).
Cosa di meglio dunque, per i suddetti ‘’amici’’, che sciorinare in efficace sintesi tutti gli episodi che possono suggerire collegamenti tra la pace regnante nello stivale e la troppo libera e quiescente circolazione presso di noi di attentatori operativi altrove?
E’ istruttiva, in questo senso, la lettura, in allegato, di un recente articolo di Lucia Annunziata su Huffington Post. Quasi tutti episodi dubbi più o meno noti, ma accorpati in modo tale da rendere lecito, implicitamente, un ragionevole dubbio: non sarà mica che la nostra tranquillità ce la siamo comprata con un eccesso di intelligence che ricorda i tempi del Giovannone?
Non a caso, così si conclude l’articolo: “Siamo certi che non alberghi da qualche parte del nostro sistema la vecchia tentazione di non andare fino in fondo, magari con la buona intenzione, di tener l’Italia in una zona di relativa sicurezza rispetto al pericolo attentati. Una strada malamente percorsa e catastroficamente finita negli anni settanta/ottanta dal nostro paese nei confronti del terrorismo palestinese”.
Non viene precisato in cosa sia consistita la catastrofe degli anni 80. Non perché tutto sia filato liscio, certo, ma perché secondo alcuni potrebbe riferirsi alla non evitata strage di Fiumicino, secondo altri alla, per molti non catastrofica, difesa a Sigonella, della nostra integrità nazionale nei confronti dei marines.
Non è un mistero né un offesa il fatto che in materia internazionale Lucia Annunziata guardi con una certa fiducia agli Usa. Verificare per credere. (http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/attentati-italia_b_11155032.html)
È un suo diritto tifare Usa. Chi però altrettanto legittimamente, nutre negli Usa meno fiducia di lei potrebbe temere che il suo documentato dossier anticipi una stagione di guerra tra i servizi che notoriamente non giova alla tranquillità del Paese coinvolto.