Nell’America arsenale ora è guerra razziale

OGGI. L’America scende in piazza.
Migliaia di persone nelle strade delle maggiori città statunitensi per dire basta alla violenza contro gli afroamericani. Centinaia di persone anche per le vie di Londra.
”Abbiamo nel cuore anche Dallas”, si legge in uno degli striscioni di New York, dove per la seconda serata consecutiva sono in corso manifestazioni di protesta. Ad Atlanta la tensione è alta, così come a Baton Rouge, in Luisiana, dove la polizia è in assetto da combattimento. A Baltimora un arresto fra i manifestanti. A Los Angeles i rapper Snoop Dogg e The Game hanno guidato un corteo di manifestanti fino alla centrale della polizia. A Washington manifestazioni si sono svolte davanti al Dipartimento di Giustizia e alla Casa Bianca, fra candele e canti.

 

IERI
Obama ha seguito quanto stava accadendo a Dallas dal vertice dell’Alleanza atlantica di Varsavia, ma gha sbagliato guerra. Autorizzava l’invio di 10mila soldati nell’Est-Europa contro la «minaccia russa», mentre la vera guerra l’aveva in casa. Speriamo almeno si sia chiesto se la sparatoria di Dallas è l’inizio di una fase di lotta armata, contro il razzismo ma non soltanto.

I fatti. Dopo l’uccisione da parte della polizia di due afroamericani riesplodono le proteste in tutti gli States. Manifestazioni e scontri in diverse città. A Dallas un ex militare di colore ha aperto il fuoco contro i poliziotti uccidendone cinque. Il sospettato della strage è Micah X. Johnson, è stato in Afghanistan. Nella sua casa sono stati trovati molti fucili. Il capo della polizia: l’assassino voleva uccidere poliziotti bianchi.

«Il sospetto ha detto di essere arrabbiato per ‘Black Lives Matter’, per le recenti uccisioni da parte della polizia – ha continuato Brown -, di avercela con i bianchi e di voler uccidere bianchi, specialmente se poliziotti». Secondo le fonti di polizia, Johnson, 25 anni, era incensurato, non legato ad alcun gruppo terrorista e avrebbe agito da solo. Fonti ufficiali hanno confermato alla Cnn che Johnson era stato un riservista dell’esercito, confermando la preparazione all’uso delle armi.

Se non è l’inizio di un’escalation dello scontro razziale in America, la notte di Dallas è sicuramente il punto culminante di una lunga esasperazione per una parte non irrilevante degli attivisti di #BlackLivesMatter (Blm), il movimento di protesta nato nel 2013 sull’onda dell’indignazione nella comunità africana americana, e non solo, per il rilascio di George Zimmerman, il vigilante che aveva assassinato il giovane Trayvon Martin, a Sanford, Florida.

Blm è vistosamente cresciuto nel dibattito pubblico americano, fino a imporsi nella stesura della piattaforma programmatica della prossima convention democratica di fine luglio. Anche a livello locale, Blm è ormai considerato protagonista sociale e politico con cui deve confrontarsi chiunque aspiri a una carica pubblica. Prevale comunque il sospetto che l’attenzione da parte dei candidati sia strumentale, legata alla fase elettorale, e che la comunità nera sia comunque condannata a essere tenuta ai margini può essere legittimo.

Ma paradossalmente la crescita di Blm coincide con l’aumento della violenza nei confronti dei neri. Molti bianchi si dichiarano vittime di un cosiddetto reverse racism, un razzismo alla rovescia, per le misure a tutela delle minoranze. Questo modo di percepire la realtà attuale, nella White America profonda -considera Guido Moltedo, su il Manifesto– è rilevabile proprio negli atteggiamenti brutali di molti agenti di polizia bianchi.

Il successo di Trump galleggia su questi sentimenti di paura, di rancore e di rivalsa, in un’America non più dominata dal colore bianco. Il revanscismo di Trump a cui si vanno contrapponendo forme estreme di contestazione. Problemi in casa democratica. Barack Obama, che chiude all’insegna di una guerra civile. Hillary Clinton chiamata subito ad affrontare una crisi razziale che promette sviluppi complicati in vista delle due convention.
Sempre dal Manifesto, Cathleen Decker sul Los Angeles Times: «le crisi che scoppiano durante una campagna presidenziale definiscono i candidati»

Protests_Dallas. COP

Gli Stati Uniti arsenale

Secondo lo Small Arms Survey le armi leggere in circolazione sul pianeta sarebbero circa 875 milioni, prodotte da oltre 1.000 aziende in circa 100 paesi differenti. Il commercio di queste armi superi i 6 miliardi di dollari annui, e questo spiega tutto senza veli e ipocrisie.

Gli Stati Uniti sono assieme il maggiore esportatore e importatore di armi da fuoco ad uso civile. 89 armi ogni 100 abitanti su un totale di 270 milioni di armi in circolazione nel paese. Oltre il 40% in più rispetto allo Yemen, secondo in classifica ma paese in guerra dichiarata.

A parità di condizioni di sviluppo, gli omicidi con armi da fuoco negli Stati Uniti sono 20 volte maggiori rispetto a quelli tra i paesi dell’area Ocse. Oltre 30.000 le persone uccise ogni anno. 30 morti ammazzati/giorno, metà di loro tra i 18 e i 35 anni; un terzo sotto i 20 anni.

L’omicidio in America è la seconda causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 24 anni. Più sconcertante e rivelatore il dato che l’omicidio sia invece la prima causa di morte per gli afroamericani di quella stessa fascia di età. La pelle nera che li fa bersaglio e spiega ciò che accade ora.

Vittime privilegiate gli afroamericani, nonostante rappresentino il 6% della popolazione Usa, con trasparenti segni di problematica razziale e sociale. Altra follia, dozzine di bambini sono venuti in possesso di armi da fuoco e hanno involontariamente causato vittime o feriti

Atlantic Online ha paragonato il numero di vittime per armi da fuoco tra città statunitensi e alcuni posti più pericolosi al mondo. Baltimora rincorre il Guatemala. Newark e Miami sono paragonabili alla Colombia dei Narcos, e Washington è peggio del problematico Brasile.

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