
Per il Bangladesh lo Stato Islamico aveva dichiarato la propria presenza già nel novembre del 2015. Da allora sono stati almeno otto gli attacchi compiuti da cellule e gruppi affiliati a ISIS. Con buona pace del governo di Dhaka che si ostina a privilegiare nemici interni contro cui scatenare repressioni non sempre credibili e mirate
Bangladesh e Paesi come Indonesia, Malesia, Filippine, zone di transito per centinaia di foreign fighters diretti in Siria e Iraq per unirsi a ISIS, da due anni sono diventati centrali di reclutamento e addestramento per nuovi combattenti. Colpendo in casa. Oltre 30 i gruppi che nel sud est asiatico, stima Rocco Bellantone su LookOut, hanno giurato fedeltà al Califfato
Ciò che il Bangladesh non dice
Il Bangladesh ha visto espressioni della militanza islamica radicale già dal 2013, come reazione al giro di vite imposto dal governo contro il principale partito di opposizione, Jamaat-e-Islami.
Quattro esponenti di quel partito sono stati giustiziati negli ultimi anni per i crimini commessi durante la guerra con cui nel 1971 il Bangladesh ottenne l’indipendenza dal Pakistan. Processi avviati 40 anni dopo i fatti.
L’ultimo impiccato, lo scorso 11 maggio, con grandi proteste di piazza.
In questo malcontento e disagio sociale diffusi, ISIS ha trovato terreno per attecchire attirando milizie locali e il sostegno di una fetta consistente della società civile.
Concorrenza Al Qaeda Isis
Dalla concorrenza alla diversificazione dei bersagli tra la vecchia Al Qaede e la nuova Isis. Ansar al Islam, gruppo affiliato ad AQIS, Al Qaeda nel Subcontinente indiano, ha preso di mira negli ultimi due anni principalmente blogger, attivisti per i diritti dei gay e sacerdoti indù.
ISIS ha invece puntato soprattutto sull’omicidio di stranieri, compreso il cooperante italiano Cesare Tavella, ucciso il 28 settembre 2015 a Dacca nel quartiere di Gulshan, lo stesso in cui il 2 luglio sono stati uccisi venti civili tra cui i nostri nove concittadini.
Eppure Dacca era stata avvertita da Dabiq, la rivista ufficiale di ISIS, nel numero di aprile con una intervista al nuovo emiro locale, il canadese di origini bengalesi Tamim Chowdhury, nome di battaglia Shaykh Abu Ibrahim Al-Hanif.
Indonesia
L’Indonesia, è il più grande Paese a maggioranza musulmana del mondo. Prevale un islam moderato, ma sono presenti frange estremiste, prima tra tutte Jemaah Islamiyah, Congregazione Islamica, in passato affiliato ad Al Qaeda, gruppo ritenuto responsabile della maggior parte degli atti terroristici in Indonesia negli ultimi quindici anni.
Secondo il Long War Journal, nell’estate del 2014, poco dopo l’annuncio della nascita del Califfato da parte di Al Baghdadi, il leader spirituale di Jemaah Islamiyah Abu Bakar Bashir, avrebbe giurato fedeltà a ISIS.
Secondo l’Agenzia Nazionale Antiterrorismo l’Indonesia sarebbe tra i maggiori fornitori al mondo di combattenti con più di 500 persone unite allo Stato islamico, mentre la polizia nazionale minimizza con poco più di 200 individui in Siria.
Filippine
Nelle Filippine è attivo il Bangsamoro Islamic Freedom Fighters, che nel 2011 ha respinto il processo di pace tra il governo di Manila e il Moro Islamic Liberation Front (MILF), il principale gruppo separatista di Mindanao, isola a maggioranza musulmana nell’arcipelago prevalentemente cristiano.
Il BIFF, che alla fine del 2015 ha compiuto diversi attacchi contro la comunità cristiana di Mindanao, ha dichiarato fedeltà a ISIS pur non avendo dei contatti diretti con il Califfato.
Sempre secondo Long War Journal altri gruppi fuori dagli accordi di pace negli ultimi mesi si sarebbero avvicinati a ISIS: il Moro National Liberation Front, la formazione comunista New People’s Army, Ansar Khilafah nelle Filippine, lo Stato Islamico in Lanao, Jamaat al Tawhid wal Jihad (ex Al Qaeda) e le frange più radicali del MILF.
Malesia
La Divisione antiterrorismo della polizia malese sostiene l’esistenza di un progetto di integrazione tra gruppi terroristici operativi in diversi Paesi del Sud-est asiatico – riferendosi sempre a Jemaah Islamyah e Abu Sayyaf – al fine di creare una fazione “distaccata” dello Stato Islamico in quest’area dell’Asia, sfruttando i diffusi focolai di tensione nazionalista ed etnico-religiosa presenti nella regione.
Ne sarebbe promotore un ex docente universitario, Mahmud Ahmad, già finito nella lista nera delle autorità malesi dall’aprile del 2014.