
Un viaggio in Albania è sufficiente per capire quanto poco gli italiani sappiano di questa nazione pur così vicina geograficamente, e le tantissime cose che invece gli albanesi sanno dell’Italia. Uno squilibrio davvero evidente che si coglie ovunque nella capitale Tirana, non appena un qualsiasi interlocutore capisce che venite proprio dal cosiddetto Bel paese.
Iniziamo da un fatto incontestabile. In Albania tutto ciò che è italiano è popolare e sono certo che, se si stilasse una classifica di gradimento dei Paesi occidentali, il nostro si piazzerebbe senza problemi al primo posto. L’influenza culturale è evidente e si manifesta anche (ma non solo) attraverso la diffusione della lingua, parlata – o almeno compresa – dalla maggioranza delle persone.
Si dirà che è naturale, visto che stiamo parlando di una ex colonia. Ma non è così, dal momento che il fenomeno non si riscontra in altri luoghi che subirono la nostra colonizzazione tra ’800 e ’900. In realtà i motivi sono altri e mi limito a citare i due principali.
Il primo è che, almeno qui, la presenza italiana fu tutto sommato bene accetta e non diede luogo a rivolte di grande portata. Agli italiani si deve la costruzione di buona parte della rete stradale e la modernizzazione dei porti e delle infrastrutture, tra l’altro rimaste ancora, in sostanza, quelle dell’epoca coloniale.
Il secondo è più recente e, sia detto per inciso, fa storcere un po’ il naso. Agli albanesi piace tanto la TV italica, sia pubblica sia berlusconiana. Tutti i programmi sono assai seguiti, dai telegiornali ai vari tipi di varietà, dalle soap operas nostrane agli innumerevoli giochi a quiz. La popolarità di Gerry Scotti e compagnia è pari a quella goduta entro i confini nazionali.
Peggio per gli albanesi, vien da dire. Resta però il fatto che la TV è stata -ed è ancora- il veicolo principale della diffusione dell’italiano nel Paese delle Aquile. Può anche non piacere agli schizzinosi, ma il risultato ottenuto è notevole.
L’Albania è inoltre una nazione in grande crescita, soprattutto economica. L’espansione edilizia è febbrile e, proprio per questo, disordinata. Anche qui, come in altri Paesi ex comunisti, i grattacieli spuntano come funghi, spesso rovinando gli scorci delle vecchie città. Nel centro della capitale restano intatti -l’uno accanto all’altro- il quartiere progettato in epoca fascista dall’architetto Armando Brasini e quello in stile perfettamente staliniano costruito ai tempi di Enver Hoxha.
E si spera che non vengano rovinati dalla febbre edilizia, costituendo entrambi patrimoni di grande valore storico. Naturalmente il panorama peggiora man mano che ci si sposta dal centro alla periferia, ma questo è un fenomeno riscontrabile ovunque (si rammenti, per esempio, Roma).
La crescita è riscontrabile anche nella fuga dalle campagne. Oggi Tirana, vista dall’alto, appare come una vera e propria megalopoli. E non potrebbe essere altrimenti, poiché raccoglie ormai circa un terzo della popolazione totale (3 milioni scarsi di individui).
Un settore in cui gli italiani sono perdenti è quello automobilistico, giacché nelle strade di vedono in maggioranza Mercedes, Audi e vetture tedesche in genere.
Prevaliamo invece di gran lunga (e non è certo una sorpresa) nella ristorazione. Le bustine di zucchero sono in gran parte Lavazza e Segafredo, e nell’aeroporto della capitale trovate pure una Conad. Massiccia, comunque, la presenza di aziende italiane grandi e piccole, favorita dagli incentivi fiscali. Circolano accuse incrociate di corruzione tra destra e sinistra.
L’attuale premier, Edi Rama (molto amico di Renzi) è socialista. Il predecessore, Sali Berisha, è conservatore. Ma simili accuse lasciano indifferenti gli italiani, che in materia di corruzione non possono certo dare lezioni a nessuno.
Notevole la presenza turca poiché anche gli Ottomani, dalla cui dominazione l’Albania si liberò nel 1912, non hanno lasciato un particolare odio alle spalle. Una certa ostilità si manifesta solo verso Paesi che ospitano consistenti minoranze albanesi, per esempio Macedonia, Serbia e -in misura minore- Grecia.
Nel corso di una mia precedente visita all’Università di Valona avevo notato la presenza di una base militare di Ankara.
Questa volta sono stato invitato da un ateneo di Tirana che è di proprietà turca. Appartiene in particolare al movimento islamico moderato che fa capo a Fethullah Gülen, posto fuori legge da Erdogan. Mi è stato detto che, nel corso di una sua recente visita a Tirana, l’attuale Presidente turco aveva promesso al governo albanese ingenti finanziamenti e la costruzione di una grande moschea in cambio dell’eliminazione delle università di Gülen, ricevendo però un netto rifiuto.
E anche la conservazione di un laicismo di fondo è un carattere tipico di questo Paese, la cui popolazione è in maggioranza musulmana.
L’impressione è che l’Albania abbia notevoli margini di miglioramento e che possa svilupparsi in tempi rapidi. Un caso emblematico è il turismo, dove l’afflusso di visitatori stranieri – sulla splendida costa di Valona e nei vari centri storici del Paese – potrebbe senz’altro essere assai maggiore di quanto è ora, tanto per la bellezza dei luoghi quanto per i prezzi molto competitivi.
E pure la presenza italiana dovrebbe essere più incisiva, puntando non solo agli scambi commerciali ma anche a quelli culturali, approfittando dei vantaggi offerti dalla diffusione della nostra lingua.