La banca d’Italia, il detto e il non detto

L’esposizione di buone intenzioni è cosa ben diversa rispetto a quello che doveva essere fatto per tempo e non è stato fatto. Anche per distrazione della banca d’Italia.
Nessun invito ai vertici delle banche alla riduzione di stipendi e prebende. Specialmente dopo i danni subiti da molti risparmiatori per il cattivo operare di certi personaggi.
Bene il richiamo alla necessità di aggiustamenti per il “bail in” (in occasione di dissesti bancari, pagano i privati, non più gli Stati): l’introduzione avrebbe dovuto essere graduale ed accompagnata da quella condivisione del rischio, terzo pilastro della riforma bancaria europea che i tedeschi si ostinano ancora a negare. Non una sorta di tagliola – come è accaduto- nella quale sono incappati, in via retroattiva, ignari investitori.

Un meccanismo approvato anche dai nostri rappresentanti in Europa che, per la verità, si sono dimostrati molto disinformati e distratti rispetto agli esiti dello stesso.
Dov’era la banca d’Italia, quando avrebbe dovuto consigliare ed orientare persone che -come ha documentato anche la trasmissione televisiva Report- non sapevano neanche di cosa si stesse parlando?

La banca d’Italia ha come obiettivo primario quello di garantire la stabilità del sistema bancario. Bankitalia sa sicuramente cosa fare, ma non sono tanto sicuro che, negli anni passati, ci sia stata una corretta comunicazione tra la stessa, che avrebbe dovuto orientare e consigliare, e gli organismi che avrebbero dovuto realizzare: governo e banche in primis.

Da apprezzare il richiamo alla necessità di ridurre i costi e migliorare la gestione e la redditività delle banche, ma Vincenzo Visco non ha parlato della mentalità burocratica che affligge banchieri e bancari (e dei politici che devono approntare ed aggiornare il quadro normativo), dei tempi biblici che caratterizzano le loro decisioni.
Mercati e speculatori sono pronti a colpire, approfittando di ogni ritardo e di ogni falla, incuranti degli effetti negativi sull’economia reale. Questo è successo negli ultimi anni, ma nessuno sembra essere tutt’oggi abbastanza reattivo.

Ancora: la montagna di crediti problematici del sistema bancario era nota. La soluzione era a portata di mano. Più di due anni fa avevo scritto un articolo sull’esigenza di creare una bad bank di sistema. E lo avevo fatto sulla base di una esperienza sul campo che si era rivelata molto utile e risolutiva.
Ovviamente, l’argomento era stato anche affrontato da persone molto più prestigiose ed autorevoli di me. Si sarebbe dovuto fare cinque anni fa, nessuno ci ha pensato. Neppure la banca d’Italia.

Adesso il fondo Atlante (che avrà il compito di occuparsi anche di questo) nasce con mezzi inadeguati e con colpevole ritardo. Dopo che danni enormi sono stati arrecati alla credibilità del Paese e del nostro sistema bancario.
Mi riferisco all’operazione “quattro banche da salvare”, fatta in modo maldestro, che ha causato perdite non solo ai sottoscrittori di obbligazioni subordinate, ma ha coinvolto il governo stesso in un danno di prestigio e di immagine che avrebbe potuto travolgerlo.

Eppure, si sapeva che il ‘bail in’ sarebbe entrato in vigore, che tutte le banche stavano accumulando crediti “avariati” in quantità macroscopiche anche se, in realtà, assolutamente gestibili. Infatti, anche nella divulgazione di questi dati si è proceduto in modo dilettantesco, mettendo in primo piano il dato complessivo, quello lordo, mentre le banche avevano provveduto per tempo a coprire in bilancio, con la creazione di fondi di riserva specifici, una buona percentuale di quei crediti.

Anche la Banca centrale europea ci mette del suo. Per esempio, chiedendo aumenti di capitale (e quindi soldi agli azionisti) non sempre giustificati, che hanno l’effetto di deprimere i corsi di borsa e, stranamente, destabilizzare il sistema. È il caso della ricapitalizzazione imposta al Banco Popolare, propedeutica alla sua fusione con Banca popolare di Milano. Molti sono convinti che si potesse evitare. Situazione diversa, invece, per Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, risultato fallimentare di allegre gestioni.

L’idea dell’Europa che tutto sia “aiuto di Stato” è deleteria. Può essere corretta, ma non sempre, nel caso di imprese diverse dalle banche. Per queste, che sono imprese del tutto particolari, i burocrati europei dovrebbero tenere conto che l’intervento pubblico è spesso fondamentale, quello privato non basta. Dovrebbero capire che, se la situazione sfugge di mano, rischia di coinvolgere anche altri Paesi.

L’Europa, con la sua rigidità, rischia spesso di fare più danni dei risultati che vorrebbe conseguire. Ecco, in questi casi Vincenzo Visco (che nella sua relazione ha comunque dimostrato di avere le idee chiare, nonostante la lentezza dell’esecuzione non solo a lui imputabile) dovrebbe sentirsi più spesso con Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan per consigliare loro una bella “strattonata” all’Europa.

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