
Elezioni svogliate. Si torna alle urne, e mai come questa volta ne faremmo volentieri a meno.
Eppure andremo a votare.
L’antico vizio della coerenza e della responsabilità, che ci rende così inattuali ai tempi correnti, ci costringerà ancora una volta a mettere da parte riserve sempre più grandi, obbligandoci al sacrificio.
Un sacrificio che è molto meno quello del tempo dedicato a presentarci ai seggi di quanto non rappresenti il disagio per doverci arrendere alla condizione litigiosa, da condominio, di una classe politica quasi sempre improvvisata e priva di finezza.
Il fatto è che il degrado generale del dibattito politico, la sua evidente capziosità, con i temi che ruotano intorno ad emozioni costruite ad arte e a contrapposizioni senza alcun contenuto dotato di senso civile, spinge sul proscenio tanti protagonisti inappropriati, modesti interpreti di un copione usurato e scritto da altre mani, altrettanto dilettantesche.
Così scegliere secondo vecchi schemi ideologici, che sarà almeno per tanti – è augurabile – l’opzione finale, ha il sapore di un omaggio alla propria storia e alla propria coscienza e, contestualmente, una resa, poco gloriosa per altro, a formazioni ormai svuotate, che celebreranno comunque vittorie o sconfitte capitalizzando sulla nostra insoddisfazione.
E ci tormenterà il pensiero di come tutto avrebbe potuto essere diverso, forse, se quelli in cui abbiamo creduto per tanti anni avessero celebrato virtù sociali effettive invece di costruire monumenti opinabili e precari a se stessi e al loro arrogante individualismo.
Il che mette in gioco, inevitabilmente, anche la nostra cattiva coscienza, per esserci adattati, sottratti, o per essere stati complici e, peggio, vittime consenzienti.
Chi vincerà lo farà in un deserto di valori eclatante, riempito di un eccesso fastidioso di parole che non sembrano dire più nulla. Vuoti pneumatici.
Mentre a noi servirebbe come l’aria che si riaprisse una stagione di confronti larghi, di visioni appassionanti, dove l’essere e il sostenere idee anche diverse fosse legittimo e arricchente.
Al pari del dubbio, della ricerca di un nuovo senza vizi di origine; della sensazione di poter tornare alla partecipazione piena, non immiserita da giochi che si fanno altrove.
Tra aspirazioni ingenue e questa realtà, così indigeribile da tentare molti alla fuga, va in scena “l’opera dei pupi” nostrani, così presi dal farsi guerre di cartone da non avere coscienza dei danni che sono in grado di determinare.