Brasile e Venezuela, crisi sudamericane sull’orlo del golpe

Situazioni diverse ma non troppo. Dilma Roussef, presidente esautorato del Brasile in attesa di processo politico, e in Venezuela il presidente Nicolás Maduro che vieta il referendum sulla sua possibile destituzione. Roussef, espressione del Partito dei Lavoratori e dell’ex presidente Lula, e Maduro, erede della rivoluzione bolivariana di Huho Chavez. Collocazione politica netta a sinistra, e opposizioni altrettanto schierate sul fronte opposto.

 

BRASILE
Opportuna la domanda che si pone il giornalista Gwynne Dyer, canadese, autore di una column di politica internazionale che è pubblicata in più di cento giornali di tutto il mondo, in Italia su Internazionale. Quand’è che si può parlare di colpo di stato? E analizza i casi più recenti, esempio, il golpe militare che nel 2014 ha rovesciato il governo eletto in Thailandia. Colpo di stato contro il governo eletto anche in Brasile? Risposta di Dyers: in Thailandia i golpisti indossavano le uniformi, in Brasile no. Almeno per ora.

Cosa è acceduto lo sappiamo più o meno tutti. La presidente è stata sospesa dall’incarico per i prossimi 180 giorni nell’attesa di essere processata dal senato stesso. L’accusa è di aver mentito sulle dimensioni del deficit di bilancio prima delle ultime elezioni del 2014. Se i due terzi dei senatori la riterranno colpevole, Dilma sarà rimossa definitivamente dalla carica di presidente. Considerando che i senatori hanno appena votato per l’impeachment con una maggioranza superiore ai due terzi, il verdetto diventa scontato.

C’è qualcosa che non funziona, oltre che i conti economici del Brasile. Partiamo dall’accusa: il governo di Rousseff ha truccato i conti per far sembrare meno grave la situazione economica del Brasile prima delle elezioni del 2014. Quale governo eletto non cerca di rifarsi un po’ il trucco? Dilma non ha creato la crisi economica del Brasile ma ne paga il prezzo. E Gwynne Dyer osserva:
“La presidente ha gestito in modo orrendo l’economia, certamente, ma tutti i grandi esportatori di materie prime si trovano nelle stesse condizioni da quando è cominciata la crisi finanziaria globale nel 2008. Il motivo è semplice: la domanda per i loro prodotti da esportazione è crollata”.

Dilma avrebbe potuto fare meglio nella gestione della crisi? Certamente. Ma in una democrazia le questioni politiche si risolvono con le elezioni, non con l’impeachment. Oltre le scuse formali quale la sostanza dello scontro? In Brasile la metà bianca della popolazione è generalmente ricca, mentre i ‘pardo’, i mulatti, e i neri sono generalmente poveri. Il più importante provvedimento adottato dal governo del Partito dei lavoratori è la famosa ‘Bolsa família’, un aiuto riservato a tutti quelli che vivono al di sotto della soglia di povertà. Provvedimento che ha strappato alla povertà 45 milioni di persone, un quarto della popolazione.

Nessuno ammetterà mai che la crisi politica nasce dalla decisione del governo di aiutare i poveri, ma è innegabile che la folla che manifesta contro il governo di Dilma sia quasi interamente composta da bianchi, come interamente composto da bianchi è il governo creato dal nuovo presidente ad interim, Michel Temer. «Temer che non avrà vita facile nella gestione del paese», è la previsione di Dyer.

Infatti, gli indignati sostenitori del Partito dei lavoratori, si stanno rapidamente radicalizzando, e la lotta si sta trasferendo nelle strade. Le manifestazioni e le barricate sono sempre più frequenti, e difficilmente i manifestanti si asterranno dalle proteste in occasione delle Olimpiadi che si apriranno in agosto a Rio de Janeiro.
«Questo, purtroppo, potrebbe fornire alla destra brasiliana il pretesto per aprire le porte del potere ai militari».

 

VENEZUELA
Altra domanda chiave è posta in francese da Le Monde: il Venezuela ha raggiunto il punto di non ritorno? Di fronte ai suoi critici, sempre più numerosi e aggressivi, il governo di Caracas sembra non essere disposto a cedere su nulla. Brasile lontano, e nessun referendum sulla possibile destituzione del presidente Nicolás Maduro. Salvo rivoluzione o colpo militare. Attaccato da ogni parte, anche da alcuni esponenti del suo Partito socialista unificato del Venezuela, Maduro moltiplica le affermazioni minacciose nei confronti di chi ha osato sfidare la sua autorità.

La crisi è ormai gravissima, mancano il cibo e i medicinali. Nel frattempo oltre alla proroga dello “stato di emergenza economico” in nome del quale sono state estese per decreto le prerogative del Presidente in materia di sicurezza e all’annuncio di esercitazioni militari previste nel fine settimana per “rispondere alle intimidazioni straniere”, il presidente ha minacciato di sequestrare le fabbriche che hanno interrotto la produzione e di far arrestare i loro proprietari.

Anche se dotato delle più grandi riserve di petrolio del mondo, il paese, messo in ginocchio dal crollo del prezzo del petrolio, è sull’orlo del crollo, un crak, dicono i servizi segreti statunitensi non proprio addolorati. Di fatto l’anno scorso la crescita economica è scesa del 5,7 per cento e il tasso di inflazione ufficiale ha superato il 180 per cento. Alla popolazione manca il cibo e gli ospedali sono senza medicinali, ormai disponibili solo al mercato nero. Malati e neonati a rischio di vita, rileva il New York Times.

Sempre convinto dei benefici della “rivoluzione bolivariana”, Maduro sta vivendo i suoi ultimi giorni da capo dello stato? L’opposizione controlla l’assemblea nazionale grazie alla vittoria alle elezioni politiche di dicembre. Un recente sondaggio afferma che il 70 per cento dei venezuelani vorrebbe che il presidente si dimettesse quest’anno. Su tutto l’ombra, la paura di un colpo di stato militare, mente il governo legittimo sta ricorrendo a sistemi autoritari per rimanere il sella.

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