Silenzi che parlano o invettive. Da Trump a Parma vince il politicamente scorretto

Di Maio sul Corriere scarica su Grillo, unico “garante” del M5s, la responsabilità della cacciata di Pizzarotti. Ma lui era d’accordo? Non lo dice. E conta quel che non dice più di quanto non dica. È, forse, un deja vu. Nella Repubblica dei partiti le correnti dc si facevano la guerra con simili interviste cifrate. O con i silenzi. Come quel Piccioni che – fermato negli anni Cinquanta in Transatlantico da un cronista parlamentare con una domanda sulle scelte del rampante Fanfani, sollevava un sopracciglio, per poi tornare sui suoi passi e accertarsi: “Non ho detto niente”.

Che stiano tornando i vecchi tempi? Si assiste in ogni quadrante dell’universo politico, a rapide alternanze di toni dorotei, silenzi che parlano, e invettive politicamente scorrette. Queste ultime per ora comunque sono prevalenti. I giornali sono pieni di titoli sulle “frasi shock” e sulle “gaffe”.

In tutto il mondo occidentale si fa strada una forma di bullismo politico, che prelude sempre a qualcosa di grave, e che saremmo ingenui a prendere sotto gamba. Siamo così sicuri che Donald Trump abbia preso uno scivolone quando accusa gli immigrati: “Faranno attentati come l’11 settembre”, e per tornare entro i nostri confini siamo certi che Grillo abbia solo per caso o per gioco durante uno spettacolo, attaccato il nuovo sindaco di Londra, pakistano e musulmano:”Voglio vedere quando si farà saltare in aria a Westminster”?

Si gioca col fuoco. Certe battute populiste hanno la funzione della forcella del rabdomante, cercatore di voti, voti utili come l’acqua. Ci si comporta così anche da parte del populismo di governo che con Maria Elena Boschi sfotte angelicamente “i professoroni” e con Matteo Renzi la butta lì: “Io faccio le leggi, i magistrati le applichino”. Ma non era il Parlamento che faceva le leggi, e il governo non è sinonimo di “esecutivo”?

E a personalizzare il referendum non è stato forse per primo proprio chi come lui ha minacciato di lasciare la politica in caso di sconfitta? Oppure sono gli altri a “personalizzare” , come spiazzando un po’ tutti, ieri il presidente del Consiglio ha infine scritto, naturalmente online.

I toni dorotei di Di Maio sul caso Pizzarotti non sveleniscono, dunque, questo clima ammorbato dalla brevità di messaggi drastici e frettolosi tweet: se il dialogante Di Maio se ne lava le mani, ricordando che Beppe è “il garante”, e lui si occupa di altro, vuol sottintendere che lui – Di Maio – ha fatto il possibile, ma il messaggio è criptato per i suoi personali sostenitori, fautori di un grillismo perbene, che potrebbe fare a meno, in un domani, forse dello stesso Grillo.

E con pari destrezza il ministro Orlando, dopo aver fatto passare due giorni, smentisce oggi con comodo tempismo mediterraneo ed educazione britannica il suo vice Costa che aveva accusato i magistrati di barare con le sentenze sulle adozioni. Si può sperare in una tregua dei tweet e degli insulti? Si tratta, piuttosto, di timidi messaggi in bottiglia, lasciati dalla risacca, dopo che l’onda nera e mefitica degli insulti e degli sms ha fatto strame di consensi e di ragionamenti.

Altro che “partecipazione”. Ci si ritrae nel privato. Persino nella nicchia di estrema sinistra, a Roma, il pasticcio dell’annullamento delle liste Fassina genera, del resto, un solo interrogativo: quei voti andranno a ingrossare le file degli astenuti? O Giachetti ha qualche speranza di entrare attraverso loro, giovandosi della libera uscita della sinistra radicalmente sconfitta, in ballottaggio?

Tutto ciò non è casuale: nei pronostici per le amministrative e più oltre per il referendum non si parla d’altro che dell’incognita astensionismo: incognita in senso quantitativo, perché è una certezza che le urne saranno sempre più disertate. In verità, si fa strada l’impressione che “moderni” insulti online e tradizionali ammiccamenti facciano sempre più le veci di quella che nei talk show televisivi in declino si chiama pausa-pubblicità.

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