
Cresce, disseminata nel paese, grandi città ma anche periferie e una provincia più vitale dell’immaginato, una voglia irresistibile, pare, di riprendere a progettare, innovare e produrre.
Sono soprattutto le generazioni giovani che non si arrendono al degrado progressivo del Paese, con una caratteristica peculiare: un’attenzione e una educazione diversa dal giovanilismo rampante e distruttivo di cui abbiamo memorie anche recenti in campi certamente meno empatici anche se più dotati di potere.
Sono giovani curiosi non solo delle tecnologie e del mondo che fluisce ormai senza frontiere ma, anche, della storia di quanti questo Paese lo avevano fatto grande e rispettabile col lavoro, l’impegno, e la genialità legata a un cuore che sapeva rischiare.
Si aggregano, si cercano, condividono, sanno apprezzare le diversità creatrici di sviluppo e di relazioni finalmente professionali e di competenza.
Sanno spendersi in proprio e cercare chi li possa aiutare, senza il pregiudizio dell’età o della provenienza.
Sembra prendere forma una rete di luoghi e di saperi che diventa progressivamente cultura e infetta positivamente un tessuto sociale stanco e, spesso, deluso; in ritirata da sogni e spirito di avventura.
Sono questi, probabilmente, nuclei e ancoraggi di speranza attorno ai quali bisognerebbe creare un terreno fiduciario e strutture di allevamento integrate, fatte di maestri, di servizi meno burocratici, di generose aperture da parti di quanti hanno ancora il gusto di immaginare un futuro dignitoso.
Lavorare coi giovani aiuta a non sentirsi inutili in un mondo che ha perso molti valori motivanti e, al contempo, a superare la logica improduttiva di contrapposizioni prive di senso.
‘Contra spem in spem credidit’: mai come in questi momenti sembra indispensabile questo sforzo di ottimismo a prima vista così inattuale.
Chi, in mille iniziative disperse e intriganti, si aspetta oggi un riconoscimento, merita che le forze sociali più sane e lungimiranti sappiano ritrovare l’entusiasmo della collaborazione e del sostegno.
Non è un problema di riuscita personale; è molto più un dovere civile da tributare agli interessi comuni, per una volta collettivi, per l’uscita da una palude della crisi che specie le nuove generazioni non meritano.