Il cardinale croato Stepinac fatto beato da Wojtyla forse non era proprio santo

Per la memoria di chi non è addentro alle complesse e spesso atroci vicende balcaniche tra i popoli slavi nella seconda guerra mondiale, al certo della vicenda non solo ecclesiastica ma soprattutto storica, la figura di Alojzije Viktor Stepinac (leggetelo con la zeta finale, Stepinaz), cardinale cattolico croato durante il regime Ustascia nazifascita alleato con Berlino e Roma. Stepinac fu condannato come collaborazionista nella Jugoslavia socialista che si era liberata, e fatto santo come perseguitato dal comunismo dopo la caduta del muro di Berlino.

Il discusso cardinale croato, scomparso nel 1960, fu proclamato Beato da Giovanni Paolo II nel 1998. Ma adesso, denuncia l’ex ambasciatore croato in Vaticano Filip Vucak, tutto sarebbe stato fermato personalmente da papa Francesco. Secondo l’ex diplomatico, un comitato congiunto delle Chiese cattoliche e ortodosse inizierà a discutere la questione “prima dell’estate”. A fermare il Vaticano, una lettera del Patriarca ortodosso di Serbia Irinej in cui si denuncia Stepinac come sostenitore del regime nazi fascista Ustascia, complice nella conversione forzata dei serbi al cattolicesimo, e di aver sostenuto le leggi razziali che in Croazia portarono all’orrore del campo di sterminio di Jasenovac.

Il Dice croato Ante Pavelic e l'allora vescovo di Zagabria Stepinac

Il Duce croato Ante Pavelic e l’allora vescovo di Zagabria Stepinac. (Nella foto di copertina Stepinac è l’ultimo a destra)

Ripensare all’ipotesi di santificazione anche da parti più aperte del mondo cattolico. Quindi la decisione del papa -fonte non vaticana- di proporre la creazione di una commissione mista che esaminerà in dettaglio la vita e l’opera del cardinale Stepinac. Il 28 maggio scorso in Vaticano l’allora presidente croata in visita al Papa aveva provato a fare pressioni per accelerare la canonizzazione. Pressioni opposte da Belgrado. Infine la proposta del presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani Kurt Koch per la formazione di un gruppo di esperti della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa serba, la quale indagherà su tutte le circostanze storiche, e cercherà, attraverso il dialogo, di “creare un’atmosfera di collaborazione e di comprensione”.

I santi nelle guerre jugoslave litigano sovente. Marica Stanković, candidata beata, suora laica condannata nel 1948 da un “Tribunale del popolo” per avere guidato, come si legge nell’atto d’accusa, un’«organizzazione ustascio-terroristica». Stesso destino rischia la causa relativa ai frati francescani di Široki Brijeg e dell’Erzegovina, uccisi durante la Seconda Guerra Mondiale dai partigiani titini, accusati di collaborazionismo con il regime ustascia e l’occupante tedesco. Non migliore sorte attenderebbe la causa di beatificazione, recentemente avviata, del cardinale Franjo Kuharić, arcivescovo di Zagabria dal 1970 al 1997, cui i serbi rimproverano l’appoggio dato all’azione militare “Tempesta” del 1995 nelle Krajne, con massacri e pulizie etniche. Insomma, guerre Jugoslave anche in paradiso.

Alcune annotazioni storiche forse fuori dal contesto ma significative dello ‘spirito’ dell’epoca. Il padre francescano Simic: «Ammazzare tutti i Serbi nel più breve tempo possibile. Questo è il nostro programma». C’è da dire che il Duce croato, Ante Pavelic, era ancora più netto: «Un terzo dei Serbi deve diventare cattolico, un terzo deve abbandonare il paese, un terzo deve morire!». Nei locali pubblici c’era il cartello: «Ingresso vietato a Serbi, Ebrei, Zingari e cani». Nelle prime sei settimane di vita della nuova Croazia furono assassinati tre vescovi, più di cento preti e monaci ortodossi e 180.000 fra Serbi ed Ebrei. Il mese seguente vennero ammazzati altri 100.000 Serbi, donne, vecchi, bambini. La chiesa di Glina venne trasformata in un mattatoio: «Il bagno di sangue durava dalle dieci di sera alle quattro del mattino, e andò avanti per otto giorni».

L’ottantenne metropolita ortodosso di Sarajevo Petar Simonic fu strangolato, mentre l’arcivescovo cattolico della città, Ivan Saric, componeva odi in onore di Pavelic ed esaltava nel giornale diocesano i nuovi metodi rivoluzionari, «al servizio della verità, della giustizia e dell’onore». A Zagabria, dove risiedevano il primate Stepinac e il Nunzio Apostolico Marcone, il metropolita ortodosso Dositej fu torturato al punto che divenne pazzo. Il 26 Giugno 1941 Pavelic accolse in pompa magna l’episcopato cattolico guidato da Stepinac, e lui, il vescovo, promise «dedizione e collaborazione in vista dello splendido futuro della nostra patria».

Gli eccessi croati furono talmente virulenti che il generale Roatta, comandante della Seconda Armata italiana, minacciò di aprire il fuoco contro gli Ustascia che intendevano penetrare nei territori controllati dagli Italiani, e gli stessi tedeschi, inviarono proteste. Il 17 febbraio 1942 il capo dei Servizi di Sicurezza tedeschi al comando centrale SS: «È possibile calcolare a circa 300.000 il numero dei Pravoslavi uccisi o torturati a morte dai Croati… In proposito è necessario notare che in fondo è la chiesa cattolica a favorire tali mostruosità con le sue misure a favore delle conversioni e con la sua politica delle conversioni coatte, perseguite proprio con l’aiuto degli Ustascia (dagli archivi della Gestapo).

Il Partito Unico di Pavelic si distinse dal nazismo e dal fascismo italiano per il suo carattere ultra-cattolico e per la partecipazione attiva dei preti. Il 10 aprile 1942 il giornale Vrmbosna pubblicò un articolo firmato da Kramber, segretario dell’arcivescovo di Sarajevo: “… possiamo affermare che noi sacerdoti cattolici croati ci siamo trovati, nella stragrande maggioranza, fin dall’inizio, dalla parte di quegli uomini che hanno preparato l’avvento della Croazia indipendente. Questo Stato è una nostra creatura”. La ‘creatura’ poi sterminò oltre un milione di persone, di cui circa il 50% erano serbi. Il frate cattolico Miroslav Filipovic-Majstorovic fu il comandante del lager di Jasenovac.

Nel 1945, Liberazione, Stepinac viene accusato di collaborazionismo, ma il governo jugoslavo lo lascia libero di trasferirsi a Roma. É il Vaticano che forse vuole un martire croato. Nel 1946 le autorità jugoslave consegnano al Vaticano una documentazione sulle attività collaborazioniste di Stepinac e del clero croato. Papa Pacelli risponde facendo Stepinac cardinale. Jugomorbisezza, con Stepinac processato e condannato a 16 anni di lavori forzati. Pena commutata in arresti domiciliari. Morì di morte naturale nel 1960.

Martire della Fede fin da allora, nel 1998 fu dichiarato ‘beato’ dal papa Wojtyla. Forse Santo mai.

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