Profughi ad Atene 25 secoli fa. Cronaca di Tucidide

Guerre ed altre catastrofi hanno sempre provocato massicci spostamenti di popolazioni. La prima testimonianza di una queste vicende, antica almeno quanto la Storia, è descritta proprio da Tucidide, che la Storia l’ha praticamente inventata narrando la guerra tra Atene e le altre città greche. Atene era la più grande, la più colta, la più ricca ed inevitabilmente praticava una politica di espansione, basandosi di volta in volta su alleanze o su vere e proprie guerre combattute per asservire le altre città. Il punto di forza era la sua posizione geografica, ma soprattutto il fatto di essere ampiamente fortificata: non si trattava di un piccolo borgo circondato da mura, ma di uno spazio esteso e protetto, dalle alture arrivava al mare, all’interno del quale era possibile ospitare una numerosa popolazione, ammassare rifornimenti e costruire grandi navi.

Nell’estate del 431 a.C. le campagne furono invase dal nemico, ossia dall’esercito spartano e dai suoi alleati. Dai villaggi e dalle fattorie la popolazione trovò scampo ad Atene dove fu accolta benevolmente: chi aveva parenti in città fu ospitato da essi, anche se la maggioranza dovette ricorrere a soluzioni di fortuna. Sorsero capanne di legno più o meno ovunque, ma che poi si concentrarono soprattutto in una zona della città non ancora edificata. Ai piedi dell’acropoli esisteva infatti un quartiere chiamato Pelargico, il cui nome derivava forse dai mitici Pelasgi fondatori della città. Tucidide tuttavia ricorda nel secondo capitolo della «Guerra del Peloponneso» che sul quartiere pesava una profezia: «Meglio – aveva detto l’oracolo – che il Pelargico non sia abitato». Invece, mancando altre sistemazioni, nei luoghi abbandonati sotto le mura dell’acropoli e della città si adattarono a vivere in costruzioni di fortuna migliaia di profughi.

Pericle sito

In breve si fecero sentire delle violente reazioni: non solo occupare il Pelargico in quella maniera non era accettabile per gli ateniesi, ma era anche una sorta di sacrilegio. Dall’altra parte, poiché la guerra infuriava da mesi, i profughi non erano affatto disposti ad abbandonare le capanne improvvisate e tanto meno la città, le cui mura garantivano loro protezione. Questa difficile situazione durò parecchi anni, perché – Tucidide a parte – è stata anche ritrovata dagli archeologi un’iscrizione che proibiva minacciando severe sanzioni di asportare pietre e sassi. La sistemazione provvisoria era diventata insomma quasi stabile, al punto che dai luoghi abbandonati si traevano materiali da costruzione per edificare piccole case addossate alle mura o ad altri edifici maggiori.

Il passaggio successivo nella pubblica opinione ateniese fu che, poiché era stato commesso un sacrilegio violando il responso divino, la responsabilità della guerra – che infuriava ormai per terra e per mare – fosse dei profughi che avevano disobbedito alla profezia occupando il quartiere. L’accusa poi si rafforzò quando ad Atene scoppiò l’epidemia di peste: il contagio fu attribuito agli stranieri e non dall’affollamento della città. Le prime vittime della guerra, fuggite davanti all’esercito di Archidamo, divennero insomma i capri espiatori della stessa e la causa si confuse con l’effetto. Non sembra casuale che Tucidide, che vedeva nella Storia l’opera degli uomini e non degli dei, si sia soffermato proprio su questo piccolo episodio per fondare il suo metodo basato sui ‘fatti’ e viene oggi da chiedersi ancora se i tanti pregiudizi correnti non abbiano rimpiazzato gli antichi miti e le curiose superstizioni.

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